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Full text of "PoesieDiGiovanniBerchet"

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POESIE 



DI 



GIOVANNI BERCfiET 



Adien, mf native land, adieu I 
UNlfcA ^DIZIONB complbta 



t ; eti litre pui< ttigiMli ililiait. 



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\ 
\ 






ITALIA 

1861. 

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HARVARD ^U.EeS UB3ARY 

% Nr.rc?! GAY 

RISORGISZMTO COLLECTION 

COOUDGE FUND 

1931 



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^Jy^a^ 



LE FANTASIE 

ROMANZA 



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A£It AVICI MIBI 

t 

» mitt n- 



NeH'atto di maodare alio stamjMtore la preseote 
Bomanxa, mi seoto euggerita da taluBO la conve- 
niens di forte ^frecedere alaeoo qitflebe parola di 
f>tefaxi<rae; of'k> m'ostfmanoa voleria jwov¥edere 
di note, come a tal altre !parew che bisagnasse. E 
nondimeno mi sa male aeche dello sehiecherare una 
prefazionfc, massime nan ocoorreodo a me cose da 
Aire in es$a che vagliano la carta sa cai scriverle. 
Pigliale come vooL, poco sufwco gift, Dote oprefa- 
siowe m'banno faecia di pedaoteria nel oaso mio; aft 
vorrei che si credes&e eta'io attribmsai al poemetto 
$i& d'importania che von gli *i compete* Ma come 
ai pu6 egli far netto netto a modo propria e ribvt- 
tare del tutto a* coosiglio cbe si aa noa essere che 
la parola d'on beaevolo? Come trovare qaella per- 
iinacia coo mi resistiamo talveUa alle ragtoai, tro- 
varla, died, per resistere al tiisogno di parere crean- 
3ati? A sbrigarmi in qualcbe modo da una aiffatta 
peqplessiti, bo afierraio come buoto ripiego vn so$- 
gerimento deir<animo mio» qwMo di ritotgeraia wi, 
dileUissimi* e d'iodimzam, come fo, questa mie 
Jettfera confldeaziate. ScrUta come tten vteite, come 
se riassumessi per im momenta aacora una di quelle 
taote chiacchierate coo voia cuof largo, aeaza ngore 
di propositi, senza toteoto Leiterttio, delle ijaali com* 

O) Prefttk** deU^tut^w pe»t*lnoawi •H'e4J*h>ttedir*ilgUm. 

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— 6 — 

ponevasi la nostra conversazione (perdita questa delle 
piii amare che »m'abbia costato 1'esiglio), la lettera 
mi salva d'ogni mal sussiego d'autore; mi permette 
di parlare in persona prima, di usarlo quell'tb che 
Tetichetta, il perchfe nol so, condanna come pid va- 
nitoso del noi; mi previa, luogo a dire quel poco 
che pur sivuolech'io dica; e, quello che val me- 
glio per me, mi procaccia il gusto di chiamarvi an- 
cora i miei cari. Forse anche a voi non djspiaceri 
di ricevere impunemente per questa via un solenne 
salulo deU'amico vostro lontano, da colui del quale 
sarebbe delitto-per vdi tfavefelcontfezzaaltrimenti; 
frutto ariche questo deflle vostre belle polizie, che 
vi strozzano in petto perflno le affeziom private. 

Per pooo ch'io ve I'aseerisca, lo crederete ben 
subho, o dilettissimi, che nel oomporre i versi che 
oggi vi dedico, voi, voi soli, io sempre aveva di- 
nanzi alia mente, come lettori a cui soddisfare s'io 
lo potessi. Ora che li ho ricopiati, li rileggo pen- 
sando a voi; nfe parmi che per voiabbiano bisogno 
di schiarimenti.se mi tocca di pubblicarli in terra 
straniera, non 6 per questo ch'io mi figuri che stra- 
nieri li vogliano leggere. Ove a ci6 avessi rivolto 
la speranza, certo fe che avrei fatto bene di sparpa- 
gliare qua e \k alcune note ad esporre quel tanto 
di storia lombarda a cui alludono i versi; dacchft 
non fc da pretend&re che, fuori d' Italia , s'abbiano 
comunemente su per la punta dei diti i fatti nostri 
di tempo remoto. Ma io non ho in inira che PI. 
talia. Ed in Italia, cari miei, come volete ch'io 
pensi che col tanto borlare che vi si fa d'onore na- 
zionale, s.'ignori poi Pepoca pid bella, pift gloriosa 
della storia italiana, la confederazione dei Lombar- 
di in Pontida, la battaglia di Legnano, la pace di 
Costanza ? Questi fatti il dichiararli io a voi , pift 
che superfluo, 6arebbe ridicolo. E uno scortese com- 
plimento parrebbe anche, se mi mettessi a spiegarli 
a que'pocbi che s«nza onorarmi d'amicizia perso- 

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— 7 — 

nale, volesse pure onorarmi d'uno sguardo gettato 
sal mio libretto, t Costui, direbbero, o misura dalla 
propria la parviti dell'intendimento altrui, o ci guar- 
da d'alto in basso come tauti scolaretti a'quali tutto 
debba riuscir nuovo.» 

Che se vi ha costaggid taluno, — intendo tra le 
persone nelle quali b supponibile una discretacol- 
tura, — taluno, dico, a cui non sia stata rotta la 
sonnolenza incuriosa neppure dal gran rumore fatto 
per lungo e pel tra verso dell'Europa dalla bell'o- 
pera del signor Sismondi suite Repubbliche it alia tie, 
tanto peggio per luil Se il poveretto non sa che 
un tempo nelle vene de' nostri antenati non iscor- 
reva poi tutto lalte; — Icheun tempo to soperchie- 
rie tedesche non erano in Italia ingozzate poi tutte 
come ciambeile calde; — che un tempo nelPelenco 
de' tormentatori dei popoli venne a collocarsi un 
Federigo Hohenstaufen, soprannominato il Barba- 
rossa e facente il mestiere d* Imperatore ; — che 

Juesto tale Hohenstaufen, superbo e ruvido come 
aino, seccaQstole per eccellenza, calato e ricalato 
in Italia co' suoi manigoldi, angari6 principalmente 
la Lombardia colla prepotenza d'unavolonta feroce, 
con tutti quei soliti bei modi di chi scende £i la 
a padroneggiarci , a raspar quel che 6 nostro; — 
che i Lombardi invece di jesercitarsi a cantare amen % 
invece d'addcstrarsi ad inarcar le schiene, s'adde- 
strarono ad allungar le mani, e si collegarono tra 
di loro; — che usciti essi in campo con le loro 
buone armi salde nel pugno, col loro buon cuore 
saldo nei petti, diedero a queU'Hohenstaufen ed a' 
suoi Tedeschi un rifrusto, una ceffata solenne, pro- 
prio di quelle gustose che spicciano a un tratto 
gl'imbrogli;' e si conquistarono cosi un pid libero 
virere civile, e trassero poi i baltuti ad accettar la 
pace, e si tolsero di dosso tutta di fatto, e quasi- 
chfc tutta anche di parole, la soggezione a quegli 
otffosi stranieri...; s*egli noa le sa il poveretto que- 

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ste splendide cose, tanto peggio per lui! E che ci 
ho <a fare io?Ov , auche priucipiassi dal dirgli/.tSaao 
Tatti che avvennero dagli anni di Cristo 1167, 
flop agli anni di Cristo 1183, » gii nan ne verrei 
a capo di nittla: oppure ad ageyolargli la lettura di 
dne fogU di versi, mi bisognerebbe lavorar per lui 
nn volume di prosa. Mancherebbe anche questai 
Imporre a me u gastigo della pigrizia altrui! 

JHa le poche note che avresti fatto pei lettori stra- 
riieri, penftfe non ferle pe'liup paesaui? — Perchk! 
la mi spiace <^esta vostra.domanda; oft vorrei cbe 
mi strabpasse dal labbro uoa parola di jcui penlirmi 
di poi: fusomma noo ne voglio dire fl perchfc. E 
se questa mta relicenza, che pur move da inten- 
zioui cortQsi rlguardo ad altri , a voi per isbaglio 
sembraase vlllania, e voleste puuirmene, ebhene, 
negate anche voi risposta ad una interrc^gazioae mta; 
e le parti sieno subito pari. Eccovela: .domando a 
voi, a voi che m'avete mostrato tante volte, con pa- 
role e con esempio vivo, come le cognizioni uma« 
ne iS'incateniuo e s'aiulino l'una con l'altra, doman- 
do se v'abbia no differenza tra la suscettibilitk 
inteflettuale, se cosl b ben detto„ delPuomo che 
non sa i fatti altrvu, e quella dell'uomo che nou 
sa neppure i fatti propa. 

D'altroode, per avere coraggio di melter tuori 

de'discorsi storici in ocCasione di pochi versi, b 

mestieri far que'discorsi come H sa fare un certo 

tale tra di voi, entrando in materia ricco di lettu- 

re, d'idee, di acume critico, di veduta ampia, e di 

nuove efranche considerazioni ; per modo da non 

sapersi se doverlo piu ammirare per la taota bel- 

lezza delte sue poesie, per la lanla sagacita delle 

sue note. Ma allora le note fanno cose da sfe ; sono 

n libro a parte, osservazioni storiche indipendeuti 

i versi. Ma riuscire al quale e at quanto a cui 

'see quel certo tale, maliardo benedettissimo, so- 

almen che sia, requisiti iodispeusabili, abbon- 

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— » — 

danza di tempo e trasceadenza d'ingegno: due cosi* 
queste delle naali io palisco un pochetto di penuria. 
Non dir6 delle due quale ,pii manchi; nb cerco 
pare di avverarmene .10 stesso : giacchfe nfe voglio 
dar sospetto ch'io parli con quella modestia che 
puzza d'ipocrisia, che sa di convento ; ofe tampoco 
rovistarmi iroppo addentro i segreli della coscienza. 
A questo monao, per viverci un poco meno mal* 
contenti, nou bisogna poi yolere appurar Uitto a no 
puntino. 

Lasciati andare sehza corteggio di note i fatti 
storici eminentemente jtalL, conviene ch'io nonuai 
maggiori cerimonie verso i miuuli accidenli di £ssi, 
Neppur di lontaDO,varrei parere d'imitare quel {ana- 
tico, che, a Ear vedere quant' egli abbomsse ogai 
odore d'arisAocrazia, negava con brutto sgarbo U 
salato a qualsiasi buoao tristo de'nobili, e pro* 
fonfleva carezze a qualsiasi buoao tristo de'piebei; 
nfe mai aveva posto menle che s'egli, alia larga d'o- 
gni sorta di canagliume, da quello de'trivi lino a 
quello de'palazzi, si fosse tenuto urbaoo e rispet- 
toso coo ogni sorta di rispeltabilU non solameate 
sarebbe paruto piii dexoocratico, ma anche piu ga- 
lantuomo- 

I minuti particolari di cui parlo, il lettore anche 
colto pad* jnanco male, ignorarli seaza il menomo 
rimorso. E infatli aon usava egli di oercarii , o 
non li iinveniva spesso ne'libri che i savi scrive- 
vano per pascolo della intelligenza comune. Da qual- 
che tempo in qua i savi hanno cambialo di pare- 
re, e si sono accorti che il farsi voler bene dalla 
intelligenza comune k un tantino pid lusinghiero 
che non il rendersi accetto ai tarli delle biblioteche. 
E part divenuti vaghi di popolarita, secondano que- 
sta crescente smania che la tnoltitudioe ha ora di 
sapere, piu che si possa, il vero delle cose^ e di 
questi minuti particolari fanao tesoro come d'indi- 
cazionitutle ameglio rafflgurare ciaschedun periodo 

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— 10 — 

della vita di esso ; n& se li dicono pii fra di loro, 
savio con savio, airorecchio:ma li trasfondono ne' 
loro libri di storia, e li rivelano, fra una noviti 
d'aspetti infiniti e d'interessi sempre vivi, anche a 
noi povero pubblico, a cui il monotono racconto del 
su e gift delle famiglie reali o metteva sonno, o face- 
va rinaegar la pazienza. Non tocca a me di giudicare 
se questo scientiGco rinverdire, per cosi esprimer- 
mi, delle cronache sia un progresso fatto dalia ra- 
glone umana. Ma siccome ognuno ha diritto d'ave- 
re i suoi gusti, e il confessarli, quando innocenti, 
non fe poi delitto, confesso che questa moda mi 
vaagenio moito. E sictfome gli spassi, percbfe sie- 
no proprio tali, bisogna poterii dividere con chi si 
ama, fo voti onde questa moda pigli piede mo I to 
anche in Italia, fosse anche in discapito della quistio- 
ne sulla lingua, o d'altre tali usanze che vi si ti- 
rano tanto per le lunghe e vi si tengono in tanto 
credito, eppur non sono nfe cosi ingenue, ub cosi 
divertenti. 

Comunque sia, di questi minuti particolari, che 
non proprio per gli stessissimi motivi onde piac* 
ciono ora agli storici, ma per motivi molto analo- 
gic a quelli, aveva io sentito dire essere gemme 
[>e'poeti, alcuni pochi mi trovai averne raccolti nei- 
a memoria, spigolati qua e*l& alia ventura nello scar- 
tabellare libri vecchi che parlassero di fatti a cui 
alludono i versi della Romanza ; e perd mi sono in- 
gegnato di sceglierne pochissimi tra quei pochi, e 
d'incastrarli qua e Ik nel tutto d'invenzione, che, 
secondo rintendimento mio, doveva essere un ri- 
verbero rapidissimo di verity, equindi conservare 
qualche tratto individuate della fisonomia dell'og- 
gelto riverberato. Di questi particolari sono, a mo- 
do d'esempio, il volo delle tre colombe venute dalla 
cappelletta de' santi Sisinnio, Martirio ed Alessan- 
dro apoggiarsisulFalto delCarroccio quando appun- 
to la battaglia di Legnano pareva voler essere per- 

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— li — 

data pe* Lombardi ; lo sgominarsi de'Tedeschi alia 
vista di quel volo inlerpretato da essi come portento 
di disfavore; il rtncorarsi invece de' Lombardi che 
si pigliarono come iodizio dell'aiuto de'santi il ca- 
priccio di tre uccelli, -— cosi i tempi volevano I — 
il modo della foga de'Tedeschi; Tappiattarsi di Fe- 
derico nei boschi, e il suo non tornare che dopo tre 
giorni alia moglie, Beatrice di Borgogna, la quale, 
gtft pensandolo morto, gli preparava in Comoi funera- 
li...; ed altre inezie di tal fatta che 6 inutile ripe- 
tere, e delle. quali anche si riferiscorio alia condi- 
zione politica e civile de* Lombardi in quella eti. 

Ora, perrispetto alle note che non sarebbero piu 
su fatti, ma su tfevi acfcidenli di essi, a me sembra 
che un dilemma qui nasca, dai corni del quale sia 
difficile di scappare. questi particolari, conside- 
rati solo come trovati poetici, sono espressi nel 
poemetto con sufficiente chiarezza, non per cerlo 
prosaica, ma quale l'ammette la poesia epico-lirica, 
o non lo sono. — Se si; e a che mi servirebbero 
le note?— Se no;ilpoemafc sbagliato, eva buttato 
subito al fuoco senza misericordia ; perchfc il primo 
dovere di chi canMcchia versi 6 di farsi intendere 
a dirittura co'mezzi poetici, senza aver d'uopo di 
ricorrere percid al sussidio di mezzi estranei affat- 
to all' arte sua, senza immisehiarsi a farla da lette- 
rs to. 

Sul primo corno del dilemma credo ch'io poss 
arrischiar disedermi, qualunque sieno le altre ra- 
gioni per cui i miei versi possano meritarsi il com- 
plimento delle fiamme. E qui seduto, se per altro 
voi, dilettissimi, non m'invidiate il sedile, credo di 
dovere asseverare non solo che le note non servi- 
rebbero a nulla, ma ch'elle servirebbero a male. Non 
facendo esse che stemperare in un poco di prosa le 
immagini recate ne' versi, e venendo innanzi a voi 
intarsiate di citazioni la pii parte in latino, ditemi 
di grazia quale concetto farebbero nascere del loro 

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— 12 — 

autore? Quello a an dipresso che, passeggtande sal 
corso, fareste d'uno de'vostri bellimbiisti, il quale, 
non badando alia caldara dell'atmosfera, si portasse 
indosso il mantello comperato ieri, 4an4operosteD- 
tarlo oggi sotto il naso de'suoi compagni. Sarebbe 
come un Hire io a' lettori : c Qua qua, sigoori,, coo- 
template i bei ciottoli preziosi che sod venule rae- 
cogliendo, frutto delle mie locubrazioni : qui arre- 
statevi ad osservare come i ver&i miei sieno un 
estratto di lambiccata erudizione.» VergognalEr* 
dizione a proposito di nulla; erudizione cheoooco&U 
uoo zero; vanitk da ragazzi, polvere per gli ocelli* 
No, oo 9 miei cari : a guarire da sUfaUe ambiaionoelle 
compassionevotL basta solo il dUungarsi poche cen- 
tinaie di miglia dal campanile della propria parroc* 
chia, e sporger muso a flu tare ben altre importanze 
nella vita umana, a rimpeXto alle quali k pore una 
gran miseria lo struggersi a volar comparire quello 
che non si 6. 

Perchfe ho scritto quattro versi, mi corte iorseper 
questo il debito, come alio storico* di prosare la ve* 
rita d' ogni cosa ch'io racconti con e&s\1 Son io per 
questo un awocato a cui, pena la perdita delta sua 
causa, sia d'nopo nonindicare circostaaze senza Tap* 
poggio d'un'allegazione? Gli accident! ch'io narro 
tocca al lettore di procurer d'inienderli, recando alia 
lettura quella meno sbadata attenzione che la poesia 
epico-lirica richiede, la quale, gi& si sa* i una scia- 
gurata die non vuole piegarsi ausare stile dagaz* 
zetta : — ho detto epico-lirica ; ma a definirla questa 
delle romanze, arrei dovuto dire con piu di preci- 
sione, come fanno parlando de'ventl, poesia epico- 
lirico-lirica. Gli accidenti ch'io narro tocca al lettore 
di pigliarseli o come veramente somministrati dalla 
storia, o come consentanei ad essa, e bene o male 
inventati. A me nella quality di poeta, supponendo 
per ipotesi ch'io il fossi, a me non importa, e non 
deve tampoco imporure, che ad un modo piuttosto 

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-* fa- 
cte alFattwr il tettore si attenga. Llncumbenza mla, 
secondo l'obbligo che me ne impone Parte, non 6 
dirapfresentargnm tettostorice, cfuate precisamen- 
teflu; ma 8 soft* di suscit'are in luiqualche cosa- df 
simile alFim§>Fe»8ione, al sentimento, aU'effetto cfte 
suseitmbbe in lui la presenza reale- di quel fattov 
Quella quakfce cosa di sterile 8 ris?egl8ata per mezzo 
d'mmagini; e )a» convenienza di qaestfe * delermf- 
nate do« datta verity Joro positiva, ma dalla mag- 
giore aUHudinein eseeapredurrequdlahnpressione, 
quel sen imentos qtrtir affetto. Gerta 8 che quasi sem- 
prei la verit* pesft<iva 6 proprio quella che ha in sfe pid 
forte una tale attitudme; e it poeta fa benissimo di' 
giovareene a preferenza (Fogpr altra.Ma sene gieva 
cmo6' # un mezzo, e noo se lo propone come un fine-. 
Guai a hri! g>egli scambia to scopo deH ? arte sua con 
quettfr dell' arte delta storico. Guai a lui Is'egli si d& 
pensiero del come il lettore plglieri le immagini del 
racoonto' poetics niuttosto come Terita, o come so- 
migliaoti alia verita. 

Mvdete voiaondiinenocome storici anchei pochi 
porticolari da me addperati? Or bene, dimesso il 
caratlere di poeta, giaccfrd anche questo vostro ca- 
priocio & a* dl Hr de' dlesiderii ehe l'arte poetica si 
propone in>modod*retto, con intenzione immediata, 
di ap^agare, of bene vr dico- eh'eglino sono proprio 
storici; e riposate per questo sulla parota mia. E se 
noa» a*ete; fed©' in me, domundatene pur Vistori* 
vostirei 

E cbf ii dice, che quest* ulttoao non sia giusto la 
mita a cui io tendo cc/miersotterfugi^Dio'l volesse 
cb&otiriosi di sapere quanto v* abbia di verita storica 
ne'versi miei, pigliasseroaconsultarestoriee cro- 
mcbe alcttni dfcgli studiosi e bravi giovinetti di cui 
sento dire non essere scarse \6 nostre scuole pub- 
Mehe; merito tutto questo della bont& individuals 
di qualche professori sparsi qua e \h per Y Italia, i 
quali.fanno tutto quel che possono onde non repn- 

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— 14 — 

mere, come ft cura de' loro corifratelli obbedientissimi 
a'Governi, ma bensi aiutare a svilupparsi gl'intel- 
letti affidati alia educazione di loro. Altre belle cose, 
e di ben altro interesse, e di ben altra utilita che 
non i miseri versi miei, raccoglierebbonsi per via da 
que' giovinetti, ov'eglino, per quanto pur lo permet- 
tono Te memorie che ci rimangono, procurassero di 
informarsi ben bene del secolo della Lega Lombarda. 
Quante virti da impararvi 1 Quanti errori da ravvi- 
sarvi, onde schivar di ripeterli 1 Che lezioni! che con- 
front!! che speranze ! E se non foss'altro, nelle cfo- 
nache tedescne vedrebbero gli studiosi apparire fin 
da que' tempi negli inimici nostri una propensione 
al goffo svisare .i fatti, alia matla sfrontatezza del 
mentire le inlenzioni, al maligno travolgere d'ogni 
principio morale, una mala fede insomnia, una mal- 
vagita da far tuttavia onore a qualunque Gonsiglio 
Aulico de 'tempi nostri. 

Dopo tante parole sprecate a dire ch'io non doveva 
intrigarmi in note, dopo d'avere iifibrattate pid pa- 
gine che le note stesse non avrebbero probabilmente 
occupato, bisogna pure, dilettissimi miei, ch'io vi 
confessi che una nota nft manco il diavolo m'avrebbe . 
rattenuto dallo scriverla, se mi fosse capitato per le 
mani il testo su cui fondarla : tanto ft vero che le 
azioni nostre trascorrono sovente a fare a'pugni 
co' principii che professiamot Ma la ft cosi. Avrei dato 
direi quasi un mezz' occhio per. poter pubblicare i 
nomi degli illustri Italiani che si congregarono a. 
congiura nel convento di Pontida. I nomi di quelli 
che raccogliendo primi il frutto coltivato dalla con- 
giura, maturato ism battaglia, sottoscrissero in Co- 
stanza Patto di pace, tutti il sanno. Alcuni pochi 
anche de' nomi de' combattenti a Legnano ci sono 
rimasti, come a dire quello di un Alberto da Gius^ 
sano, capo della Compagnia della Morte. Ma i nomi 
di coloro che primi parlarono di concordia dove non 
era che risse, che primi concepirono Talto pensiero 

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— is — • 

dell'indipendenza nazionale, che ne spiarono la pos- 
sibility, che ravvisando a fronte a fronte ilpericolo 
di che li minacciava il ribellarsi, statuirono di cor- 
rergli incontro ayvenga quel che sa avvenire, e mi- 
sero le proprie vite sul taglio, per cosl dire, della 
spada affine di conseguire quello che il cuore diceva 
loro d giusto, e volsero gh occtii a quella giustizia, 
e su tutt' altro li chiusero ; i nomi di quei beneme- 
riti ardimentosi o sono andatiperduti, o io non ho 
saputo rinvemrli. Meglio forse cosl 1 dacchfc I'elenco 
di quei bei nomi spiegati dinanzi a famiglie che in 
parte forse ancora li portano senza che se n'avveg- 
gano, non avrebbe fatto altro che prestare una do- 
lorosa illustrazione di piu a quella verita detta da 
Dante, mapensata da mille: 

Bade volte rfsnrge per li rami 
L'omana probilate. 

Io non so d'altri che d'un frate Jacopo da Milano, 
detto dalle memoriede' tempi gran promotore della 
Lega Lombarda. Lastampa di quei fatti sciagurata- 
mente conviene credere che su tatta la terra sia 
rotta da molti secoli. 

In quanto a quella porzione de' versi che si rife- 
risce alvivere moderno, questanoiosa idea che le 
note sarebbero opportune, non pu6, grazie a Dio, 
saltare in cervello ad alcuno; sicchfe torna superfluo 
il parlarne. Deggio per altro servire qui al nspetto 
che porto a me medesimo, e fare una dichiarazione 
diversa alcun poco da un'altra fatta non ha guari, 
ma pid limpida ancora e severa, diretta, gii s'in- 
tende, non a voi, miei dilettissimi, a'quali non b 
la malignity che possa governare mai il pensiero, 
ma bensl a chiunque, non conosciuto da me, non 
mi conoscesse. Qui in Inghilterra, popolo largo, e 
quindi meno vagp di cicaleggi da pettegole, una 
tale dichiarazione sarebbe, non che inutile, strava- 
gante a segno da non indovinarsene il significato. 

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— 16 — 

Ma in Italia ella m*6 fatta parere necessaria da qaal- 
die poca esperienza del passato. Sappiasi dunque 
che in nessuno di que'passi ove i versi parlano de' 
viyenti, nessuna mira e nessnno i'ndfviduo partico- 
lare entrO per nessun conto a suggerire le imma* 
gini. Questa 6 veriti sacrosanta che giovami di ave* 
re spiattellata wna buona volta. 

Dinanzi a me non istavano che ff concetto della 
vfrtfl lombarda nel medio evo* e il. concetto della 
presente nostra, (siamo sinceri) coFruttela. Grindt- 
vidui erano spariti tutti. E cbe so io d'invididtii? 
che ne importa airuomo in quella poca mezz'ora 
ch'egtt si ritira a conversare con le astrazioni della. 
sua mente? Se fossi andato in traccia d'individui,, 
quanti e quanti non ne avrei saputo trovare, tra' vi- 
venli) ottimi Italian* dawerol Ma i doe concetti miei 
erano somministrati dalle Hjasse, daHnttt) insieme di 
ciascuno del due secoli, concetti definiti dai fatti in 
generate, e non dall'inconcludente fissar gli occhi in 
faccia alle persone, concetti che non escludono la 
contingibilitJ delle eccezioni, non le niegano, ma 
non ne tengona conto, paghi di porgere Tespres- 
sione collettiva de' fenomeni ptti abbondanti. 

L'uUimo sentimento che risulta nell'animo di chi. 
considera il secolo della LegaLombarda, fe il sen- 
timento d'una tal quale virtii nella massa de' viyenti* 
ill quel secolo, a mal grado de' viz] inerenti a quello. 
stato di cirilti, a mal grado della particolare catti- 
verza di moltissimi individui. E di siffatta virtu la 
prova infellibile sta nel loro aver voiuio l'indipen- 
denza e la liberty e nel cercarle, come fecero, non. 
con la pieti del guaire, ma co' nervi e col sangua 
nella battaglia. L'ultimo sentimento che nasca dal- 
Vesame di noi.adesso viventi, non so quale altro 
esser possa che quello della nostra corruttela ge- 
nerate, quando parla a tutta l'Ebropa il fatto della. 
nostra supina tolleranza della servitd. Che giova 

'pararci dietro la virtft pure esistente in moltis- 

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— 47 — 

rfm'u rifaggirtiaUe anotoaHe* quaado triitadi di tet 
Hiadiaid deU'i&eca narione? 

Bll'& una foritk data,-*** ii thi'i nfega? *~ a «*q* 
tirseia dire* tknrtssima a dirla qoesta 'delta nostra 
ooffuUeliu Ma aiiche Dio, o cht pat-tara. in Home 
A lai* rinfacciata dirisshae reritk al popoio pare 
predilekto* Bia git A taieto amaro, poichfe • etta bod 
& pid tin segreto, it dirceta qoMlrvriritl tra di not, 
chfc oon il sitottfoeil* itotromre.egra tratto e in 
aiille gaiafc dalla barer degli atraateri, 6 rintronare 
ooi> qUelta 64iosit& di ^ragoni, cod qaella aspreiaa 
di modi vauitoai, the ti rende osiica il Mmprohnero 
per cid soto cbe t'aceorgi* cte ib eeso non d aai- 
stura aiCrnia d'amoce. Quftwka ooi a?rcmo detto it 
fdllo Rostro, safk g& quetto ub pasao verso Te* 
. mendarCefle; e gii ftraniert saratwo costretti a ta- 
cere* 9* non pbr aitn*, per qoeita oara ehd git «a- 
mini meltono, non dirt a Don eafcere, mh a doq 
parere plagiari. 

Ma rhnettiaaoci kl caninrioot ! doe termini astral 
& virtu e corrutttto) i due ooaeettl dt gecolo veo 
Ohio e seo6to preaeftte, come aotera to e^rtmerli 
co' mezii poetics tenia ricorrat* a tome coicrete, 
a forme uvanerebe lb rappre*eilfas*ero? 

Lascio a wait dilettipsiou, inaleMe ool merit* delta 
;paiieoia il fastidio di dptygat* te leggi e il pdfcW 
!& qoeata necdssiU ooetica* a cetoro ^he aott He- 
tend«aserd da aft e foster* galantwtaiini da'poterVi 
fidar ?oi a Daenripndre cot east i tersi e il dome 
iiaiOi Maiopra hmo vi raccoffladdo di mettervi anche 
a dire 60se trivial i, tanto <la farvi meglio compren- 
fefe, e conGocare e ribadire beo bene mi capo di 
ero gome quelle forme, a trot ark, noft ridtieg- 
jano modelii realt da eui ritrarte* k gn'm cbe fan- 
to i pittori qaando ritrattiati , o quntido tioti aeeo- 
siomatt alia fraoea rappresetitftiiOD* dell'ldeale. Che 
barebbe qaeata petenaa ehe la ffidate umana It* d'iifc 
tfagiaare, se per rinteaire it *srisimil* avesaimo 

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— 18 — 

d'uopo di misarare sempre ii vero con la spanna o col 
compa&o? Dov'6 ruom6 anohe meno dotato di questa 
po tenia, il quale, se gii dick • la tale famiglia fe vizio- 
sa,» non sappia cream rtelsuo pensiero l'immagine di 

auatcbe azioneviziosa de'coiriponenti quella famiglia? 
Bell azie&e da lui imraaginata, nianco male non sari 
avvenuta nella replti matertale defle cose, non sar& ve- 
ra; ma sari analoga al vero, ma verisimile: sarfc nella 
mente di lui ta forma tisibilft del concetto invisible, 
sari'UTOde'fantasimi rappreseBiativi della oozione 
del vizio. Cottje coluL cbe gii suon& airorecchio la 
parofo'wro, era salito daglr oggetti all'astrazione; co- 
si egli immaginando un'aeione,.altro non avra fatto 
Che quello chefafeciamo d'ordinarto nfci tnrba gros- 
solana, — toi sapientt* noii'sp come facciate, — sari 
ridisceso a cercare negM oggettiun simbolo figu- 
rate deU'astraeione; e$ in^maacataa di oggetti reali, 
git saw iastau la rappreseotafeione- di essi nel suo 
pensiero. Di questo modo parmi cbe tutti siamo 
piu o motto poeli; dnchft ii ciabaUino che non ha 
sentito iwiar mai di poesit, anche cohri cbe non 
b& aperto mai bocca a manifeatare ad attri on suo 
peswero; percW lafacoitt di orearei oggetti ideali, 
di arrestarci a coabemplare fenomani che non oc- 
OUparono mat nfe teiftpo, nd spttio, di vagare die- 
tro U verisimile sdimentUati dalver*; la facolti 
poetics inaomma in taiti i sua! attribute sia o no 
ohe se n'*bj>iii oqn3apevolazaa*quando la si esercita, 
sia ebe ee ne faccia stinaa> o disprezio, e\Vb pur 
sempre una delte perpetue iruprescindibili condi- 
ziooi ohe costituiscono to spirito umano. E chisa 
cfce ella Ma sia for$'anehe la precipna! Chi sa che 
l'uomo non sia ferae piu poeia che aUro anche al- 
lora ch'egli <Mcbiara ad aKri e giura a s6 stesso 
d'esseriomeoo^e sel erode? 

E a propositi} (Uxi*baUioe*per<5itare date esempi 
del preseate poem«tta v Jta risposta a'qaali calza per 
tutti i casi anche piu minnti di esso; vi pregherei 

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— 19 — 

difar loro osservare come nella battaglia di Legnano 
sia tratto in iscena un solo Lombardo ferito a dir 
cose serie; e fra i viventi.uno solo sia che s'ub- 
briachi e dica cose infami. Sar§ per questo che 
nella vera battaglia di Legnano uno solo sia stato 
ferito, ed abbia proferite qdelle parole? Sari per 
questo che nella realti de'viventi uno solo sia il 
bevone, rimpudrco, del quale si riuniscono proprio 
tutti i sentiment! espressi nella canzondna? — Oi- 
b6, oibd, oibi. — Di quanta picpiolezza d'intelletto 
farebbe mostra chi non ravvisasse q U j $ e <j a p er 
tatto al trove nella Ramarnza, Tidealet e nol ravvisas- 
se prevalente ben assai pib nellte forme espressive 
del concetto di secolo nostro, che non in quelle 
rappresentanti 1' alyo concetto clove molte imma- 
gini sono anche tolte alia realti storicat 

Ma il suggerire io queste osservazioni a voi, di- 
Jettissimi, gli fe dawfero un portar patate in Ir- 
landa : — avrei detto piii volontieri, incenso in Ara- 
bia; ma allora la grandiloquenza sarebbestata, come 
spesso avviene, in detrimento del senso comune; 
perchfc r incenso, preziosa derrata, riferito a voi, 
andava bene ; riferito a me , andava sguaiatamente 
male. 

Alcuni anni fa avrei dovuto {irevedere e combat- 
tere piii di proposito un'altr'accasa g\k mezzo ac- 
cennata qui sopra. Ma sarebbe adesso fia anctie so- 
perchieria il menar colpi contro di una iftoribonda, 
voglio dire la taccia di poco amore del proprio 
paese, la metafora obbligata del mordere il seno alia 
propria madre. Yergognaf un Italiano sparlar del- 
r Italia ! — 

SI, eh I — Me li rammento ancora i tempi quando 
iouest'accusa, movendo di soppiatto daipandemoni 
I delle polizie tedesche, usciva mori alliodita il vollo 
d'un poco di belletto e d* un poco di gioventd, 
tanto da potere, quantuoque ribalds a tutta lercia 
sotto panni, infiaocchiare qualche gorizo. Ma i corn- 
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— 20 — 

messi delle polizie, segreti e pubblici, Thanno poi 
tramenata cotanto, Vbajino cotaqto fatta cofrere su 
6 gib a seminar zizzame tra di noi, ad adulare una 
falsa boria sopofosa nella coscieoza di chi amando 
la patria non domandava a'sfe stesso in che poi 
consistesse Tamarla dayvefo, I hanno indotta, dico, 
a cotanto sciqlacquo delle sue forze, che a lei sono 
rimaste oramai solo le grinze e la ^uffaggine. Scorn- 
metto una, tuioria cio.cca de'nriei capegli ancora 
neri; — il che non 6 pos^a tenue jjer tin uoiihm 
cbe se li vede volgere al canuto.ogni mattino piu: 
— enondimeno vado a scowmettere che a nessuno 
regger& Of a lo stomacb di raffazzonare gli stinchi i 
a t gueir t aCcuk. Tutti poi j capegli miei neri e bian- i 
chi* ed anchd il pericraneo scommetto, che nes- I 
stino, ove tin tristo s'ardisse, di raffazzonaiii, nes- 
suno possessore sotto fl cranip t suo &'w granello 
di giudizio* se. ne lascerli abbiridplare. 

Giacchfe sono in ballo, cdntenta^vi ch'io faccia 
un altfo saltetto: e sara 1 ultimo, ve ne do pro- i 
messisu t Mi pizzica spl labbro qualche parola da dirvi i 
anchS intorno. alia ragion poelica di <juesta roman- 
fcuccia: t c pefche qui sta il.zoppiccire; eseunbric- 
ciOlo crapdlogia le potesse raddirizzarg Papparenza, 
sareb^e per me una beajitodine. Non ,6 ch'io mi 
mptta ih apprepsioae dej critjc* 4i mesiiere onde 
fe pieao lo slivafe cP Italic; so bene che da'loro 
non ho a temere che pubblifcamfcnte neppure si fiati 
de' ver$I tfiieii sono diavolerje, che scotta&o iditi, 
argomfento che fie va la pelle a darsene per intesi. 
Ma tra quel critifi vi possono aache esserei per- 
sone che, sicure in segfeto del 'fatto loro, fingaao 
di cedere alia smania di trinciare un giudizio Iet- 
teraclo, quale che sia nmpfiidenza che commettano 
a confessare d'aver letle le roie Fantasie^ e dav* 
vero servano poi ad ^ltro pfojjo&ito. fiia s'ihtende 
% /he la confessione ed il giudizio saranno bensl ri- 
>eiuti goVeQtc, ma seibpre coa persone diverse 

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— 21 — 

onde affettar pi^ecanzfo&i, sempre a qnatti^bech?, 
sempre sqtlo voce, d premessa sempre la formola 
protestatoria phe non si tratta d'enlfare Delia po- 
litico, ma sf parla solo de' versi cortte semptice- 
mente versi, come un oltraggio recato aTle biione 
lettere, di cat il pigliar le difese 6 sacro dovere. 
AHe censure di costoro, che sarat*tK> tarito pift vr- 
ciqi a consejmire dai governi un impiego, od a 
migliorarlo, Voi, miel dttettissimi, non potrete, nfe 
dovete ayena vot l'kujirudenza di rispondere una 
sillaba, s'anco perisaste cfc'io^erltassi da voi qui- 
che protezione da qtiegli assalti. L'amico vostro 
danque riraarretybe a partitopeff^iore che non le 
illastrissime Buone Letter$ % sfornito, voglio dire, 
d'ogni difesa. E ven> -cUc In Italia,' rion solo nelle 
inezie come qjieste, ma ( nelle cose gravissime , 6 
legale sentir racctfsatore e condanhare alle forche 
V accasato, senz'altra formallta che il beneplacito 
di chi paga H boia. Ma i rozzi popoli tra cm sono 
venuto vagando da alcuni anni; mi harino messo in 
capo mplti^pregiildizii, e fra i molti quellq di as- 
sociate alT idea ds gtustizia Videa dt difesa, e qael 
che e peggio, difesa {tobfelica, a pofte spaWncafte. 
Gnastato dal wal esempio*, oadttfo, fontano dalla pa- 
tria, in tanta i^lorall2?a , , no& so tenermi dal rispon* 
dere jo infianzt tratto a quelle censure, dal far 
pnbblica la difesa mia, e d'ana raaiHeria spiccia , 
oaa, oso dire, persuadejrtissima. Pigjio fialo, «d in- 
oomineio: 

t SignoH, in quanto alia eondotta del poemetto, 
eondotta troppo evidenlemente regolare , troppo 
ordioata a presentare in grande Uvsirametria di 
una antitesi; in qaaato alle jmmaglni talvolta troppo 
prosaiche, 'talvolta troppo noiose; in quanto agii 
accident!, alle persons, ed a' discord ch'ellefanno 
yt troppo langfal, or troppo strampalati ; in qtianto 
i tatto insomnia eke i versi rappresentano, 6 gof- 
bria la vostra se ne parlate. I sogni vengono come 

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— 28 — 

vagUoDo essi; godono d'una Hberti tanto indoma- 
bile, che nfc da'critici, n6 dai principi, phe come 
i critici mettono naso per tutto, ella 6 da potersi 
raccorciare di un atomo; sono pii liberi perfino 
del pensiero propriamenie detto, poichfe dod so- 
lamente a quando a quando , ma sempre , se noa 
m'inganno, camminano indipendenti da atto delta 
volonti nostra. Or bene, codesti ch'io v'ho de- 
scritti, sono cinque di tali privilegiati fortunatis* 
simi che si ridono d'ogni tirannia. E questo basli 
a chiudervi la bocca, come il papa a' cardinali tal- 
volta. Vorrei vederlo Taomo che ayesse Parroganza 
di dire alt'uomo: cHai avuto tbrto di sognare 
coslU Per la qual cosa, o signori, a vpi non ri- 
mangono di questo povero componimento che la 
verseggiatura, lo stife^ la lingua, i punti e le vir- 
gofe su cui esercitare il vostro minister©. II campo 
6 tuttavia assai vasto, per chi voglia n^epare a tondo 
lo staffile; e cji'esso non cadra sempre immeritato, 
quasi quasi ve n'assicurerei io medesimo, se nel 
catalogo delle umane stravaganze anche questa fosse 
registifata ch'io mi brigassi di parlare sul serio 
con yoi. Signori, ho detto.t 

Ma ai lettori ne f quali il boon gusto va Ae\ pari 
con la buona fede, a quelli da cui un cenno di sim- 
patia & tutto ch'io ambisca, e a voi, carissimi, a cui 
principalmente sono dedicati questi versi, quale pa- 
rola posso ip dire che valga a stenuarne 1 difetti? 

Ho veduto dei padri confessare talvolta che non 
erano belli i loro figliqoli ; ho veduto quel misto 
di titubanza, di vergogna, di conoscenza, di rin- 
crescimehto, di rassegnazione, onde sul Yolto loro 
pigliava colore Pfagenuiti della conf essi one. Eb« 
bene, quella tinta non l'ho veduta mai distendersi 
sul vol to di veruno autore die condispendesse a 
dichiararsi mal soddisfatto del proprio libro. £ 
d'uopo quindi presumere che nella paternita lette- 
raria v'abbia una tendenza pii ciecamente amoro« 



— 23 — 

$a verso la prole, che noo qelta paterniti Hatarale: 
chi trovd il primo quella metafora delta paterniti, 
avrebbe forse Urate un po* ptb vicino al segno, se 
non carando la corrispondenza del sesso, avesse 
.detto maUrftitk letteraria ; giacchfe a far piu iotenso 
l'amore materno concorre anch« la memoria delta 
distretta del par to. In ogni modo, quel viso cost 
male in accordo coa la parola, quel viso che ho 
vedato in altri, Inol voglio fare io,- nfe dire che i 
versi raiei io U riconosco per brutli, a dirlo a detlo 
smentito da me stesso: perchfe.se tali io li credesai 
davvero.li maodej-ei a voi staifcpati e pubbKcati? 
Ha in tuttov'fe *a di mozzo; e auaat semprela 
verila, chi *Dglia intdarla, 6 ia qu^i di mezzo che 
6 da rintracoiariL Gto che a rat par varo, lo dird 
a voi veracemeote* 

Gia da aleuoe aHre di questemte iueaiA poeii- 
che che prima d'ora ho date, noa poaso dure alio 
stainpe, ma a malmenare . aglt atampatori* voi vi 
sareste accorti ch' io mi son jaessb sur una stra- 
da la quale *OQ fe giuSio giusto qiiella indicate dal* 
l'estetica come cdnducenta diritio aUo scopo ulti* 
mo che l'arta.poetica si prefigpe^pfer HOioo,. snr 
una strada dove spesso fo saoiftcio della poraU* 
tenzione jestettea alun'ailtra inleoaione^ dei do* 
veri di poeta ai doreri di cittadiao. Mel conflitto 
di queate due aorta di doted, i da wv.vi^am un'an- 
gustia per l'uomo che ne *eote i'tmporunea 4i en* 
k trambe ; e nella prevatenw to lui' 4ella deyaziona 
civile sulla demziojw efetetic*, fc da ricoaoscersi, 
. se non m'iogaono, qualche ,cosa d'onesto t la sot- 
. tomessioae deil'amor proprao all'amor 4elto patria, 
, Siamo uomini tuUi, e tutU L'aM)i*»o la aostra am* 
biziooe, ed ft scemplaggiae il dir di np : nfe io pre- 
tendo che mi creetatd non aspiraatea qualche fa- 
ma di poeta, non fpaniaie fojs'anche nell'estimare 
i dirittt ch'io possa aveire ad es$a, per quanto de- 
fcoli nae li rinfacci la coscienza. Se di una tale am- 

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bizione ho fatto aduoque •olodit&t* *4 aknatonsi- 
(tarazioiM, ft>r*e anche voi dotreafcc, pert jjtadicare 
i iQlei ferei, pro§ede?e opo oualche rifarimento a 
quelle considerazionu Per male ailota che atdasse 
la causa 911a dinanzi a yoi , qoftsio almeno sare* 
ste iraiti a dover dire: Ha fatto unoaUtvo poeraa, 
ma una Jmooa; aaioue* 

So che mi si pud apporre k stollditi di avere 
scelto per mezzo a complete quell'aziona i v^rsi, 
qiando, sa il compiorta era quello che pl& mi pre* 
me?a, la pvosadra il mezfo pit espedieole. Mi 
perterebbQ troppQ lontano il rispoixtava quosta ob- 
bieziooe; bastj per owt chUo # accerti ahi la faces- 
m, , eho »o&.& pqi lotta sloKdiU quolla scelta: oi 
peosi e-gli *ew* tadoviadto il perch ft. > > 

Proponendo a ?oi, dilettissimi, come bo toito, 
k senteftt&da pronumaiarp, b manifesto aricheiief ter- 
mini di eesa oome 10 eojUaienJssimocbeaHroga- 
lantiemo, poato oelle atretic -mie, avrebbe potato 
setvire alia patria oon meno ripudio delfestetica. 
Ma cfa* Tolete ch'io ?i dica? II tipo *el bello l'ho 
in capo tatvoJta; ma quaado si twtta d'imitarlo coi 
fetti, 4fctl« dUte,i>0Rmiffieac6«IfKommaflH)Bf>o sa* 
pato far meglio. goeato per altto sia eegreto coo- 
fhlato a voi 80K9 <K<gra*ia non ne fate il aegreto 
delle tomavf, oon riditelo in piazza. 

finota, per quaate io abbia dene ta difesa od 
in oie*a< *ia, mo bo fatto oho sure aoHa jjefte- 
rali; *J * no motto di parlare che noo mi place, 
pbloh* * gli fe spesso aoi: phermtaotta, on trorato 
astute oode spaociare pefamtilli la superbta, un 
paroro dft dine e dif aal}a. SbrighiamoCene iadi- 
eaado ataaeoo «*««afcbe partioolare, 

Quantunque si abbia usato la pecaozlone di fare 
che 1'Esule gogoaese verso il mftttino, qoando di- 
oono che i sogni tommo ptfc <iUinU^ pit ordi- 
nate pifc conform! allbndanonto eoimwe delle as- 
seciaaioni delle idee nostre quando "aiam desti, y % h 



— 28 — 

nondiffumo in (pwwtf fchkqpte sogrti (jtralche eosa di 
troppo misuttto, dt tnypporagiofievole. Iqessipoi 
si fa gran parlare* quaiMio invece fc noto ehe d*or« 
dinaria \ sogni oonsistono principalmente d'imraa- 
gini vUibili; dtmqne poco terisimiglianza ne'cin- 
que sogoi* In OBeJ fe anche Una certa raancanza, di- 
ciamo cost, tfintonazione poetlca, non» solamente 
qua e Ik nello stile, ma Del tatto fnsieme della fin* 
zione, bd ircireo Che jnesprimHjile di grave che 
ooa sa trascinarli fudri delta irepltll del1a f vita pift 
eke tan to, on ideate che k ben#l poetico, ma ]o si 
sealer cercato con intendimeiilo prosaieo. La forma 
poi di cpesto componimento, visione o sogno, fan* 
taste die to 3i tfwanbi, d una ftlrma di poetha che 
ha tan to di barba, una form* usata e rhwata fino 
alia nausea , ana forma veechia comola yecehia me- 
moria di Abacyc... 

Sia rfengrafciata l'esfstetfza tra not detrespresslene 
proverbiale vecefito eeme Abaeue^ e ringraziato it 
stjo veitirmi ora itella pen&a. Essa interroihperar- 
ticolo che, senza avredermene iostesso, stava fa- 
eendo su di me, fatiea mataugurata che gti autori 
imprendono bensl < sovente, pfcr cariti det libro loro, 
ma aoi mai per diraa male, ma sempre serban- 
do$i ftflMimi. Essa rictoiama anche it pensiero to- 
stro ai profeti, e& a quelle loft) ^isfonj nelle quali 
b ban altra p«esi# €hd questa delta Romanza, e 
nondlmano to partite 'noil sono n& poche, n*bre- 
vi. Ezechiele, per modo d'&sempio, che se atala- 
ni pud parere tin p^' mono poeta degli altri, spe- 
cialmeme disata, e non per tanto tin gran poeta 
aneh'egii, e credo ilpid abbondante d'immagini vi- 
sibili, Ezechiele non parmi ohe avesse paura del 
far pariare a tango nelte sue visfcmi te immagini 
alio quali egli attribuwra favella. Ma laycriUfcche 
Ezcchiele a?eta per aseoltatofi popoto e non cri- 
tici; e noi, moderns seimie de*poeti antichi, in 
Italia not' abbiamo critici e non popolo. E chf, cer- 

- 



— 26 - 

cando consigiio ai critici, potrebbe raanarmt bao- 
no l'avere io fatto parlare cotaoto uao vicino a rao- 
rire, il Lombard© delta battaglia At Legaano? Lo 
scoprirmi in failo per qijesta parlita sarebbe la 
cosa del mondo piii tacile a farst, se un'altra non 
ye ne fosse piu feci la aaoora, quetla per me di pi- 
gliare le cesoie, e tagltar via il coppo del delttto, 
o d'accorciarlo almeao. E sia iQde al vero, doe 
volte ho portate le magi per eseguitfo il taglio, e 
due volte — lo dir6 con ana fraae tutta di fill- 
grana, rubata al Creso di tali frasi, — due volie 
caddero le. paterae mani. E perohfe? Perchfe quelle 
poohe aaynQnifliooi conteoute.. nella parlata erano 
le cose appuoto che a me piu kuportaya di dire; 
perchfe qwlle ammonjzioni ppssono essere come 
tocco di carapaaa che svegli altre rjflessiooi nd- 
l'animo de'miei concittadini, un avfiamento a pen- 
sieri un po'sodi suite condizioni necessarie on- 
d'essere degni delta liberti. N^iaredoch'eHesiene 
estranee al concetto storico della Romanza, dac- 
chfe in gran parte per non avere sapulo i Lorn- 
bardi far senno di ,ammoqizioni consimili, perdet- 
tero poi in seguitQ la liberU lore. 

Gome eglifto la perdessero, e perehft doveseero 
necessariamente perderla > voi k) sapete, ojmiei cari, 
nfe spetta a me il ridirvi le osservazioni the altri 
hanno gia fatte e pubMicate con Uota limpidezza 
di giudizio, e da ultimo, anche il aignof Guizot con 
cenno rapido, ma seotito. 

Tengano coato, li scongiun\ di tali osservazioni 
quelli che amano la nostra. povera patria. Cerchino 
di fame anch'essi, studiapdo la storia nostra* traen- 
do dalle memorie del pas&ato una migliore dire- 
zione alle speranze del foUiro. E se mai, e chi'l 
sa? usciti dal nostro sopore, o sbalzati da qualche 
accidente dall'incivilire, che fa ogni dl piu I'Europa 
intorno di noi, ci trovassimo avvicinati al consegui- 
mento della liberta e delta indipendenza nazionale, 

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1- J7 — 

ricordiamoci che ad afferrarle piu streite, a rite- 
ncrle piii sicure varraono l'amore tra di noi, ele 
arti franche dqlla veriti e delta forza.cagli estranei, 
e non gte i trovati della diptomaria. 

Nod era aacora ridoUa ad arte la diplomazia ai 
tempi de' Lombardi ; ma il fondaraento diessa esi- 
steva anche allora, il vizio di avere altro sul lab- 
bro, altro neiranirao, di torcere le parole a dire 
quelio ch'elle non debba&o sigaificare. In Pontida 
i Lombardi metteansi in alto di esercitare il diritto 
piu santo de'popoli, pigliavaoo I'armf per iscacciare 
gli stranieri e I imperatore straniero ; e nondimeno 
gridavano: * Salva- sempre la fedelti all'imperato- 
re. t In Costanza eglino vederano consaorato dalla 
paceilfatto della loro indipendeaza dair impera to- 
re ; e nondimeno giuravano: * Riserbato r alto do- 
minio air impera tore. > Net primo caso, le parole 
nulla affatto dovevano dire : nel secondo, ben poco 
pid di nulla. Ma quest' ultimo lasciavano aperto uno 
sportello agli stranieri, e davano loro adito a mac- 
china re in Italia discordie che vi rompessero la Lega 
e vi rimettessero la debolezza. Quando viene a man- 
care la forza che ha soggiogate le parole e costret- 
tele a dire meno del loro signiflcato ; allora le pa- 
role riprendono tutta quanta la forza loro, e dicono 
tutto quelio ch'elle sanno dire. Cosl la sciagurata 
parola alto dominio somministr6 col tempo colore 
di diritto alle angheriedei successori di Federigo. 
E perd qualanque popolo aspira all'indipendenza, 
guardisi dall'essere corrivo nelle parole, e non pon- 
ga fiducia in quelle de'diplomatici. Un celebre di 
questi faccendieri politici, celebre anche per Tacu- 
me de' suoi tanti frizzi, ai quali ei sopravvive come 
ai suoi artiQci, perchfc la moda b cambiata, ebbe a 
dire alcuni anni fa, che Dio aveva data la parola al- 
fuomo onde con essa celare il nostro pensiero, e 
non g\k manifestarlo. Fidinsi dopo questo alle pro- 
messe dei diplomatici le nazioni se il possono. 

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— 38 — 

Amici mi«i, fe ttetto eh# Famore Induce tadtnr- 
nit a : bisogna per altro diM die metta anche tal* 
volta una p*riantina da rfmbambiti. Cos} ora a?ven- 
ne di me. Ma 6 oblpa anche ?ostra, perchfc non m'a- 
vete raaa interrotto il discorso. Bd era pur vostro 
costume rinteftroinpermeJo una volta lid ogni istan- 
te: quest* corda non tocchiamola. L'Hlosione, che 
mi sono ereata d'«s$ere e parlare con vol tai riu- 
sci tanlo con solans, che averla tirata in lungo a 
bella posta; b astuzia perdonabilissima ; e voi, ne 
son certo, me ia perdoiierete di baona vogUa. Per- 
vennto al punto in cui m'fe mestterlcpngeftaria que* 
sta illusions, acioglierla, eperderta tueta, e fax fine 
e dirvi addio, sen to che nella parol* aMio v'fcqual- 
che cosa eh&noft m'b dilettevole, e tottt'ad uh tratto 
mi trovo estiere divenute taciturn* davvero. 

Addio, amici miei; la memoria di me non peri* 
sea nel ciior vostro. 



I'affemoMtitsirno vostro 

GIOVANNI BPHCHET. 



Piccadilly, 5 gepnato 1929. 



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RAGGUAGLI ST0RICI 



Chi leg&e la storia delle Repubbliche Italiane del me- 
dio evo, per poco non si crade trasj)ortato ai tempi me- 
raVigliOsi della Greeia libera. Cosi splendidi esempi di 
valore ne'etfmbatthnehti,difermezzanelle risoluzioni, 
di longanimitane* piu disperati patimenti; quella se- 
cura fiducta delTuno contro i dieci, meriterebbero bene 
che tanto si Conoseessero, se ne scrivesse, se ne par- 
lasse, quanta cfordinario non si conoscono, se non se 
ne parla, non se ne scirive. So- non che le tenebre e la 
ruggine, che sembrarono coprir quei tempi; la fatica 
delle ricerche per la complicazione deirargomento sto- 
rico ; e piu la direzion primitiva delle scuole (ora vien 
ponendosigia di moda), che ne volgeva esclusivamente 
ai tempi eroici grecl e romani, futon cagione, noi cre- 
diamo . della nostra indiflferenza per un 1 epoca a noi 

Jdu Vicina, per la storia di famiglxa, direm cosi, di noi 
tallani d'oggigiorno. 

E per fermo, plu> che le glorie rotnane, da noi divise 
per lungo volger di secqli, per disformita di religione, 




poca la piu nooile forse e la, pi& mirabile ; quella cer- 
tamente del piu. importante momento, unico nella suc- 
cession de'secoli, in cui la penisola gia quasiche tutta 
accozzata, poteva, liberamente decretare rassoluta sua 
indipendenza in futuro ; corse all' Italia fra gli anni 
1154 e 1183. Nel quale spazio di tempo, si rappresenta 
un dramma del piu alto interesse: uno nelrazione, 
svariato negli episodik e di cui possiam seguire mano 
a mano, Col rincalzar del suggetto, la proposta, il vi- 
luppo e lo scioglimento* — vediamo da principio quel 

Nota — Benchd (jtieati ragguagUnott dscano dalla penna del- 
rillustre autore, uutayolta crediatno Opportune di riprodtjrli, sem- 
brandoct necessarii a spiegare piiji diffusamente uo fatto umimoso 
della storia italiana. 

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— 30 — 

Federigo Barbarossa, immagine vivente della tedesca 
rabbia j pure, secondo quei tempi, eccellente capitano, 
fortissimo soldato, e, in qualche caso d'eccezione, ge- 
neroso cavaliere: il quale, signoreggiato da dirotta 
ambizione per una parte, e dalFalxra preoccupato a 
non saper riconoscere nei politici reggimenti altra 
tempra, che auella delFassoluto dominio e del ser- 
vaggip assoluto, die$ende,i* Italia coapogfiente nerbo 
di forze, e con magnifica baronia. Apre la scena, gua- 
stando campagne, struggendo ricolti ove che passa; 
alcune citta rasando, tutte offendendo e taglieggiando. 
Evoca dalla polvere ogni guisa di diritti regi, e ne fa 
un'arme contro ai popoli in mano de' suoi luoffote- 
nenti. Dopo di che, coronatosi re d' Italia in Pavia, e 
a Roma imperator d'Occidente, ripassa in Germania. 
Poi torna a visitare r Italia: con 100,000 combat- 
tenti espugna Brescia; batte Crema con arieti, a cui 
avea fatto prima sospendere penzoloni gli ostaggi tolti 
da quella citta; assedia Milano che disperatamente re- 
siste, poi si arrende per fame. Era nato intanto scisma 
ne'latmi, per la doppia elezione di papa Alessandro e 
deir antipapa Vittore. Puntellando Federigo costui, 
ch'era suo cagnotto, i Milanesi, schiacciati si ma non 
domi, forti del favore del legittimo jpontefice , risor- 
gono alia testa del partito guelfo , crF era quello in- 
sieme della reiig ione e della causa italiana. Di qui 
Federigo osteggja nuovamente la capitaje lombarda, 
la quale, dopo prodigi di valore, dopo un' ultima sor- 
tita degli assediati, in cui T imperator me.desimo fu 
scavalcato e ferito, 6 forzata arrendersi, per manco di 
viveri, a discrezione del nemico. Al quale fu rasse- 

f:nato aste, bandiere ed esso stesso il Carroccio, men- 
re una processione innumerevole di sacerdoti, di vec- 
chi, di donne e ragazzi, con croci supplichevoli in mano, 
secondo F usanza del tempi , prosternandosi & terra* 

Sonevano Fanime loro in mano del vincitore. Questi, 
opo tenutili in quelFansia, peggior del danno, per 
alcuni giorni , sentenziando nnalmente , consacrd la 
citta air esterminio. Fu vacuata dai dolorosi abitanti, 
e ripartitine da smantellare i quartieri fra altrettante 
bande della soldatesca. Ediflzii pubblici e privati, ar- 
chi, case, tempii, monumenti, mura, bastite, non ri- 
mase in pochi giorni sasso sopra sasso; e sui nudo 
suolo fu sparso il sale, a documento di aempiterna ste- 
rility. Gli abitatori vennero spartiti, a guisa di man- 
dre, in quattro borgate, che iuron comandati di fab- 
bricarsi, quattro miglia discosto dalla distrutta citti. 
Per un riscontro a questo quadro, Federigo con a 
fianco Fimperatrice, coronato il capo, con gran pompa 

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- 3< - 

di spettacoli, torneamenti e conviti, trionfava a Pa- 
via : poi ritornava tra' suoi Germani. 

Ma questa vittoria, per grande, appena era che pa- 
reggiasse 11 foco dUndipendenza e ai patria, che so- 
pravviveva ad ogni piu fieno easo in cuore degli ita- 
lici rejmbblicani ; rafforzato dal sentimento religioso 
e nudrito dalla, virtu di papa Alessandro. Di che, gli 
estremi mezzi adoparati ad ispegnerlo, dovean farsi 
in quella vece fomite e cemento deir italiana liberta. 
Tanto inaudita seiagura avea gia aperto ai generosi 
profughi di Milano le porte ed i ciiori d'esse stesse le 
citta che parteggiavano per rimpefro: ravvistesi del 
quanto fosse da atteiidere dal loro padrone, amico o 
nemico. 

II quale tornando per la terza volta in Italia, piu 
con gran splendore ai corte che con forza df eserciti, 
a dimostranza di securo imperio e a ludibrio de'vinti; 
deliberarono i Milanesi e i Veronesi di tent are, prima 
che altro, un ultimo sperimento : invocarne colle croci 
e cogli omei la misericordia, e con rispettose suppli- 
cazioni la giustizia. Ed egli i Vfcronesi ributtar con 
disdegno: le istanze dei Milanesi accfirre con un co- 
tal garbo di pacifico signore, e rimetterle ai suoi con- 
sigheri; ed essi stesei fame quel che i ministri di co- 
siffatti padroni. Dopo di che, piegava neirEmilia dalla 
banda di Fano. 

Le citta lombarde videro allora che non era da sperar 
salute che nel lasciare ogni Speranza , e tennero una 
eonsulta. Federigo, avuta voce di queste commozioni, 
die la volta, raccozzandosi intorno le milizie lombarde 
che credeva a se fedeli ; ma disanimato al tentennare 
di queste, ed assalito dai ptfpolani della Marca vero* 
nese, abbandon6 il campo, e si ritrasse in Alemagna. 

Donde, dopo oovate lunga pezza le sue vendette, ri- 
discendeva con poderoso esef cito in Italia. Fatto cauto 
dai propri espenmenti, nori si gettd di presente sulle 
citta nemiche,*ma con segrete pratiche tentd di divi- 
derle : onde postato tra Bologna ed Ancona, vi si con- 
sumava sei mesi , lasciando dietro di se impuniti i 
Lombardi, e Roma a frbnte, ch'erasi ribellata. Proflt- 
tando di quel sud sttfre, primi i Veronesi mandarono 
loro deputati per tutte le citta amiche, proponendo 
un* assemblea generale dei rappresentanti di ciasche- 
duna. Designarono a conve&no un monistero posto 
tra Milano e Bergamo, appeflato da San Giacomo in 
Pontida, e vi si furono congregati il di 8 d'aprile di 
quell' anno 1167. Erano Veronesi, Vicentini, Padovani, 
Trevisani, Cremonesi, Bergamaschi, Bresciani e Fer- 
raresi. 

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~ 42 - 

I Milanesi, tuttavia Belle quattro aperte btfrgate, 
mandavano pregar^o con ietanza grande che, anfci 
tutto, fussevi Btatuito di rendere lor* la patria: cosi 
fortificati, avrian potuto dar la Vita noveliamente per 
la eomune liberta. 1 deputafci, memori di quanta area 
operato e sestenuto quel popolo gemeroso per la eaustt 
di tutti. ne diedero fede solenne In njome delle rispet* 
tive citta. Indi divisarono la formula del giuramente, 
che doveva essere rlportato a ciaseun parlamento di 
citta; e, come appro vato, eosi da eiaschedano indivir 
duo ripetuto, Giuravano alleanza contro chiunque at* 
tentasse aile liberta e privilegi «r una o di tutte le 
citta; di non dover conoseere salvezza ehe dairarmi; 
di non le deporre, quanto durasse il bisogno, che Cdila 
vita. 

Intanto che i deputati. ricondottisi alle loro citta# 
convocavano i parlamenti.i Milanesi, sguerniti d'arme 
e di mura, rimanevano alia balia del nnitimi Pavesi, 
rivali antichi e nemici. Era gia divulgatasi rjncniesta 
fatta a Pontida,ed ogni momenta potera riuscir ad- 
essi T estremo. E ne avean pure a tempo a tempo in- 
tenzione, per gli avvisi che quei di Paria andaranft 
porgendo ai Milanesi da loro ospitatL Quando final* 
mente t ii giorno diciannovesimo dai convegno di Port* 
tida, il di 27 di quelPaprile medesimo, apparvero a 
vista della borgata di San Dionigi dieoi eavaherl di 
Bergamo cogli. stendardi del eomune, susseguiti d^al- 
trettanti stendardi* di Brescia, Cremona, Mantova- Ve« 
rona e Treviso. Conseguitavano le miliaie. recanti rar* 
mi pei Milanesi. Subitamente tutti gli abitanti della 
quattro borgate si levarono con grida altisaime di gioiA; 
e, come per istintiva determinazione, si furon portati 
di conserva ai luoghi do v 1 era dianzi Milano* Prima di 
dar opra alle abitazioni, prooacciarono lo.sgombra* 
mento della fossa e la ricostruzione delle mura. L6 
milizie della Lega Lombard* (preeero allora questade* 
nominazione) non si dipartirono come prima non ebber 
visti i Milanesi sufficientementesicuratial difuori. La 
lega, continuandosi alia sua impresa, si ade* i a forza, 
poiche $r inviti non fruttarone , la eittA di Lodi che 
parteggiava saldamente per T imperatore, da Ctti rico* 
nosceva il rialzamento delle proprie mura, state prima 
qistrutte dalla rivale Milano. Di Paria, 6 che ii tenerla 
non estimasse di suprema imporijanza, o ne riputasse 
gli animi omai fradici neirimperiale ossequio, non fu 
parlato. Espugnd quindi il castello di Trezzo, sltuato 
tra Milano e Bergamo, entro cui stavail teeoro im- 
periale alia custodia di genti tedesche, e connote* al-» 
+ ^e fazioni alia spicciolata. 

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- 33 - 

I Lombardi. temprati alle sciagure. venuti finalmeate 
daUa diversita e aalla incertezza degli intendimenti 
in una unica e fortissima risoluzione, aiutati da coti- 
diani successi, sorgevano ogni di piu e piu caldi di 
novella vita; di modo che, prima che la campagna si 
chiudesse, la lega lombarda noverava Venezia, Verona* 
Vicenza, Padova, Treviso, Ferrara, Brescia, Bergamo, 
Cremona, Milano, Lodi, Piacenza, Parma, Modena e 
Bologna. Quest' ultima citta avea dovuto consegnare 
trenta ostaggi e pagare una ingente taglia a Federi- 
go; ma come appena r ebbe sgombrata, per recarsi so- 
pra Roma, i cittadini ne avean cacciato il podesta im- 
periale ed unitisi alia lega. 

Federigo arrivava intanto sotto le mura di Roma^ 
prendeva la citta Leonina; ma era sopratenuto in 
faccia alia basilica vaticana, tramutata in fortezza. Va- 
na tornando T opera delle catapult e, mando alle fiamme 
la propinqua cniesa di Santa Maria che, minacciando 
istantaneamente la basilica medesima, ne procaccia- 
rono la resa. 

II papa spaventato si racchiuse nel Coliseo co" Fran- 
gipani: e quindi per isfuggire non il popolo lo for- 
zasse ad abdicare per gratiflcarsi il vincitore, scen- 
dendo nascostamente per il Tevere sino al mare, si fu 
ridotto a Benevento. Come i Romani seppero la fuga 
di lui, calarono agli accordi, e giurarono fedelta al- 
Timpero, saivi i diritti del senato romano. 

Ma i Tedeschi, soliti di importar seco la peste in Ita- 
lia, a questa volta se la presero dalT Italia. Eransi po^. 
sti in camno nei gran calori della state, o^uando il clima, 
non pur ai nordigiani, ma si fa mortifero agli indi- 
geni medesimi. Sorse la febbre maremmana, malattia 
terribile di natura, raggravata ancora nelle menti te- 
desche da spaventosi tantasmi, che ne rincalzavano 
le stragi ; stava loro sugli occhi la incenerita chiesa 
di Santa Maria, le fiamme che ripercotendo la facciata 
della Vaticana, ne avean distrutte le immagini mira- 
colose di Gesu Cristo e di san Pietro ; risuonavano a* 
loro orecchi gli anatemi del pontefice: i preti se ne 
faeevan profitto ad esagitarlieconquiderli interamente. 
In breve i principali dellMmpero e delPesercito, duchi. 
conti, vescovi, meglio di duemila gentiluomini, soldati 
in proporzione, perirono. De' sopravvissuti, parte s'e- 
raa ritratti alle patrie case, parte rimanevan tuttavia, 
ma affltti da fievolezza e terrore. 

Solo Federigo opponeva il suo gran cuore a taato 

infortunio. Confidava i malati alle cure dei Romani; 

e raggranellatiipochi valevoli airarme, attraversando 

Toscana e penatrando le Alpi Apuane, sL ri&uceva m 

Berchbt. 3 

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- 34 — 

Val di Magra. Chiuso tra'l mare e le montagne, di- 
sperava omai della via, quando il marchese Malaspina. 
fattosegli incontro, tramezzo alle gole montagnose de* 
suoi feudi il condusse a salvezza in Pavia. 

Dove bandi incontanente una dieta. Non v'interven- 
nero deputati che di Pavia, Novara, Vercelli e Como, 
e il sopradetto marchese Malaspina con altri cinque 
feudatari. Decreto ribelli le citta federate, e gittando 
il guanto in mezzo delPadunanza, pose disflda alia lega 
lombarda. 

Quindi, alia testa dei vassalli iritervenuti, corse quella 
parte del Milanese che conflna a Pavia. D'altro lato le 
citta italiche, congregata Tassemblea, contrappone- 
vano alia disnda imperiale un novello giuramerito, con 
cui s' obbligavano a scacciare terminativamente d'l- 
talia il tiranno. Da Lodi e da Piacenza mossero i ca- 
valli ch'erano quivi stanziati, e i fanti da Milano. Fede- 
rigo, non osando di commettere una battaglia campale 
coi pochi lanzi rimastigli , si buttava alia guerra di 
partito : flnche estimando men degna d'un imperatore 
questa guisa di pugnare contro chi e' chiamava ribelli, 
nel marzo del 1168 si ricondusse in Germania, con tanto 
segreto e celerita, che avea gia attinte le terre di Sa- 
voia, prima che uno ne avesse sentore. Dove, passando 
per Susa, fu astretto dai paesani a rilasciare tutti gli 
ostaggi che traeva con se ; ne consentitogli di progre- 
dire, mflnoatantoche non si furono cerziorati che, dei 
trenta cavalieri sottosopra che il seguitavano, nesguno 
apparteneva air Italia. 

Dileguatosi Federigo, cadde affatto il partito impe- 
riale, che piu omai non teneva che al prestigio del 
suo nome. Quindi i repubblicani espugnarono il ca- 
stello di Biandrate, liberatine gli ostaggi. Novara, Ver- 
celli, Como, Asti, Tortona, i feudatari di Belforte e 
del Seprio, e il marchese Malaspina si accostarono alia 
lega. Non rimanevano che Pavia e il marchese di Mon- 
ftrrato. I quali piuttosto che ridurre colT armi, i con- 
federati deliberarono di rendere innocui con facendo 
dono alia lega d' una nuova citta, che eressero dai 
fondamenti nella magniflca pianura al confluente del 
Tanaro e della Bormida, sul confine dei sopradetti due 
Stati; la quale posta loro a cavallo, ne avrebbe in- 
tercise le comunicazioni, e signoreggiatili. Tutte le 
milizie di Cremona, Milano e Piacenza si misero airo- 
pera; deviarono le acque dei fiumi circostanti in una 
Iarga fossa di circonvallazione, eressero baluardi di 
creta saldati con trecce di paglia, costruirono case: e, 
chiamativi gli abitatori dei circostanti villaggi, dieder 
loro diritto municipale, popolare reggimento, e vope 

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— 35 — 

nella confederazione: la citta, appellarono Alessandria 
dal nome del pontefice capo della lega: doj>o un anno 
gli Alessandrini posero in campagna quindicimila com- 
battenti d'ogni arma. 

Intanto Federigo, al nord, intendeva a cavare da 
quella officina del genere umano una sesta armata, 
che dovea pure andare in dileguo, tanto ch'ei si fti- 
cesse coniare anche. la settima ed ultima sua. Ma le 
batoste italiane avevano un cotal po' rallentato le 
ruote di quella macchina; di che, corsero sei anni 

Srima che la fosse potuta rimettere in movimento. 
[el mezzo tempo, Fimperatore non rimaneva di ten- 
tare con divise pratiche quando il papa, quando F una, 
quando Faltra delle citta: ma fu mvano; elle pro- 
seguirono il loro proposto, e distendendosi al mezzo- 
giorno, si aderirono davantaggio le citta della Roma- 
gna, Ravenna, Rimini, Imola e Forli. 

Finalmente, nelFottobre del 1174 Federigo si mosse; 
e super ate le alpi Savoiarde, calando in Italia dal monte 
Cenisio, incendio Susa, espugno Asti, e pose il campo 
davanti Alessandria, ingrossato dalle milizie pavesi e 
del marchese di Monferrato. Non iscorgendo che la di- 
fendessero se non se un largo fossato e bastioni di creta, 
ordino F assalto : gli imperiali vennero ributtati al dl 
la delle loro baliste; queste prese ed incendiate, e volto 
in fuga Fesercito. Federigo s' incocciava, come piu 
crescevano le resistenze. Erano indarno le piogge di- 
rotte; le paludi , le nevi , il freddo crescente a aismi- 
sura, le diserzioni, la fame, lemalattie; indarno ilcon- 
sigliar de' suoi : di nulla disanimato, non rimetteva del 
suo proposto. Quattro mesi durd; nessun ingegno 
pretermise; da ultimo erasi volto alia mina, cheavea 
iatta condurre per lungo tratto, malgrado le paludi 
e la rea stagione, con tanto scaltrimento, che non 
prima gli assediati se ne addiedero, che gF imperiali 
iossero sbucati nelFinterno della piazza. 

Ma prima di questo avvenimento, la dieta lombarda 
convenuta a Modena, aveva avvisato alia liberazione 
della citta, e fatta la massa a Piacenza di tutte le 
forze delle repubbliche; le quali si mossero a mezza 
quaresima con buon seguito di carra cariche di vit- 
tovaglie, mentre un convoglio di battelli rimontava le 
acque per far capo al Tanaro. La domenica delle Palme 
(1175) sostarono presso Tortona, dieci miglia discosto 
dalF accampamento di Federigo ; il quale, disperato 
delFimpresa, piegd la superba alterezza delFanimo 
suo alle arti del tradimento. Chiese una tregua ^er 
feM,re il venerdi santo: e, abusando la fede del giur 
rdftento, fece nella notie sbucare i suoi drappein pe- 

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— 38 — 

l**pearta< g&Uerie. Les©oite,avvistesene, diedero PaUar* 
me; ioittadini, riaealzajfei dallo sdegno, uomini, donne, 
si fanno addossa ai miovi venuti, li uccidono, o capo 
volgono dai bastiorii: quei ch'erano in viaggio, rk 
mangona soffocati sotto il terreno smotato. Pot, dal- 
le aperte porte si lanciano su quei di fuori, li fugano 
e danno it fuoco alle macchine. 

Federigo* posto tra gli assedianti e Parmata lorn- 
barda, distrusse nella notte gli attendamenti. e il dt 
di Pasqua si mosse per a Pavia. Vedeva r anuna sua 
in mano. omai degli alleati, ma comprendeva altresi 
la forza prepotent® di un' inveterata opinione. Giunto 
a vista dei Lombardi, fece far alto, e come amico si 
pose a campo. Eglino che eransi atteggiati a com- 
batterlo nemico, poiche Pebber visto con confldenza 
quasi di padrone benevolo in mezzo a loro, tentenna- 
rono in prima: poi, vinti air idea deir imperiale mae- 
stri, cansarono la giornata. II di appresso, per alcuni 
nobili non sospetti, ricevettero proposizioni d'accomo- 
damento. Federigo * salvi i diritti delPimpero* por- 
rebbe la causa in mano d'arbitri scelti dalle parti. Le 
repubbliehe « salva la devozione alia cniesa e alia li- 
berta» acconsentivano. Si congedarono da parte e 
d^altra gli eserciti. L' imperatore si trasse a Pavia, i 
Lombardi alle caseproprie. Si proseguirono le pratiche; 
Federigo neL mezzo tempo non mancd, quant' era da 
ltd, di suscitare sotto mano le sopite rivalita, e di di- 
videre con arti sottili gP interessi delle repubbliche: 
pure, cio che sembra aver allontanata la conchiusione 
finale, riferisce alle vertenze tra lui e il pontefice. 

Ma quando era tuttavia sul trattare, comandava alia 
Germania un esercito novello. 1 suoi vescovi, principi, 
conti avean gia ragunati i vassalli. Dieder le mosse 
in primavera (1176), e cansando la via delPAdige guar- 
data dai Veronesi, sbucavano dai Grigioni giu perPEn- 
gadina, Chiavenna e Como. Dove Federigo, attraver- 
sando sconosciuto il Milanese, veniva a porsi loro in 
testa, davanti a Legnano, castello nel contado del Se- 
prio. Univa a se Comaschi, Pavesi e Monferratini. I Mi- 
lanesi, esposti i primi alle offese, non rimisero della 
loro virtu. Sin dai gennaio avean fatto rinnovare il 
giuromento federals; instaurate elette coorti di ca- 
valli; una delle quali chiamata della Morte, a cui era** 
si votata piuttosto che dar dietro; un'altra detta del 
CajfTOCcio, composta di trecento giovani delle piu no- 
tabili famiglie, stretti da un medesimo sacramento: 
gli altri cittadini tutti spartiti in sei corpi, seguita- 
vano gli stendardi delle sei porte. 

II dx 29 di maggio seppero P imperatore non piu di 

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— 37 — 

quindici miglia discosto dalla citta. Non avcftmo per 
ancora ai loro aiuti che i Piacentini, ed alcune «centtt- 
pie 61 Verona, Brescia, Novara e Vercelli, qusndoli*** 
sero fuori il Carroccio, dirizzandosi contra ffedertgo 
per al lag© Mag^iore. Poco stante, settecento cavalieri, 
spintisi dimanzi a -spxare, s'abbatterono in trecento 
hrazi, sui quali fecero impeto; ma sopraggiunti dalla 
battaplia, retrecessero a rotta verso il Carroceio. 1 Mi* 
lanesi, Tisto eferrarai contro di loro a galoppo i oa- 
valli tedcschi, si poneano ginocchioni, pregando a Die, 
a san Pietro e a sant'Ambrogio; poi a bandiere spie- 
gate si moveano contra il nimico. La ootnpagnia del 
Carroccio vacilld un istante, e di tanto vi furon sofcto 
gF imperiali, che per poco non cadde loro in mano(*)- 
a cotai vista, la compagnia della ftforte, ripetuto ad 
alta voce il giuro di morir per la patria, si ianeiaron© 
Salle coorti tedescne con tai foga, che n'^bbero atter- 
rato lo stendardo imperiale, e balzato di sella Fede- 
rigo medesimo che combatteva nella prima fronte, e 
inseguitolo fuggente co* suoi, pel tratto di ben otto mi- 
glia. Tedeschi, econ esso loro Comaschi difettivi alia 
patria comune, o furon posti al fil delle spade, o pre- 
cipitati nel Ticino* o fatti prigioni: bottmo ingente 
nel -campo. Federigo non fu trovato tra' fuggitivi ; i 
suoi fedeli ne cercarono indarno la persona o il ca- 
davere: Timperatrice rimasta a Pavia, aveva gia ve- 
strte le gramaglie. 

Dopo tre giorni, ricomparve nella citta fedele, solo, 
scornato, diviso dal suo esercito gia distrntto o di- 
sperso, e costretto a parlar pace, da pari a pari , con 
auei ribelli coi quali poco inaianzi non credeva a se 
aicevole di comunicare ehe coU'organo delle verghe 
e delle oatene. 

Bran gia scorsi anni ventidue da <che, scendendo in 
Italia, le avea posto a partite o rassolutaobbedienza, 
o la distruzione ; e in quel giro di tempo, avea cavati 
dal fondo della Germania sette eserciti poderosi; un 
buon mezzo milionc d' uomini era sceso neir arme per 
lui, e del proprio sangue pagato Tonore di servirlo; 
e questo dramma terribile, di cui se e ritaHa avea fatto 
spettacolo, e spettatrice TEuropa. dogo la peripezia 
di LegnanO, accaduta vicino a pocne miglia a queiluo- 
ghi stessi dov*era apertasi Taeione, s'aflfrettava alia 
sua conchiusione colla pace di Costanza. 

(*) E tradition e volgare ebe in quel memento tre colombe, spic* 
catesi dalla cappella del santi Sisinio, Martirio ed Alessandro, venis- 
seto a ponrt saU'allo del carrpecio; di che, rioevnto fcd aaglrib, i 
Lombard! si rinfrancassero, e cadesseto fM animi neA Tedeschi 

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' — 38 — 

Ma primamente, al papa (e fu questo sottile accor- 
gimento), mandd . Federi^o in Anagna, chiedendo pace: 
e Pottenne. Cosi si riabilitavainfacciaa'suoidelpre- 
giudizio delle censure ; e riusciva tanto quanto ad iso- 
Jare il pontefice dagli interessi deile repubbliche, fra 
le quah i partigiani imperiali non ristavano poi dal 
suscitare destramente gli antichi mali umorL II papa 
e la lega se ne addiedero, e pressarono le conferenze. 
Le quaii seguirono (1177) con magnifiche pompe in 
Vinegia. Fu ratificata la pace fra la chiesa « r impero: 
fermata una tregua con Sicilia pel corso di quindici 
anni, e di sei colla lega lombarda; intanto continue- 
rebbe lo statu quo. Per in fine 'nel 25 giugno del 1183 
fu sottoscritta la pace di Costanza, colla quale venne 
riconosciuta la indipendenza delle repubblicne italiane, 
e la confederazione di quelle. Ma per quella forza re- 
verenda della opinione, ch'era negritaliani di allora, 
della indefettibilita deirimpero {che avean nerd osato 
di combattere e di sconfiggere in fatto), si ritenner 
tuttavia le formule di alto dominio, diritti regati x ec. Lo 
che fu pietra di scandalo, e porta, alle successive pre- 
tensiom degli imperatori; le quali condotte, secondo 
il costume, con preconcepita e non mai discontinuata 
politica, furon poi nel tempo potute colorire agevol- 
mente, con ogni guisa di mezzi che stanno a mano 
del potere, per Tantica piaga delle rivalita e delle di- 
visioni tra'fratelli d'un medesimo sangue: e in cima 
a tutto, per che le citta non sapendo a quei tempi ve- 
dere piu in la dell'idea della indipendenza dallo stra- 
niero, non cadeva pur loro in mente di doverla ce- 
mentare allMnterno coi saldi ordini politici. che soli 
vagliono a garantirla, e a far si che la liberxa non sia 
piu che un nome vano. Gl'Italiaui di allora eran piu 
inchini alle forti opere, che non alle speculazioni po- 
litiche : gli Italiani presenti son piu tratti alle idee che 
alPoprare (*). 

Dalla magniflca tela che abbiamo disvolta, nei due 
punti saglienti della congiura di Pontida e della gior- 
nata di Legnano. prese il Berchet subbietto a' suoi di- 
pinti storico-poefici. Nel che fare, non s'appiglid alio 
spediente d'infarcire la storia colla favola, per darne 
poi cio che non fosse bene ne r una , ne r altra ; ma 
con pennello forte e cr eat ore procaccid di sbozzare al- 
cuni tratti storici animati e viventi, sponendo in iscena 
personaggi che furono, secondo la natura lor vera; 
altri di pura creazione cavandone dalla fantasia, fog- 

(*) Rammenteremo al lettore che questi ragguagli furono pub- 
blicati nel 1838, edizione di Londra. 

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— 39 — 

giati dietro le ragioni dei tempi, li destind a rappre- 
sentare individualmente una data epoca, una data lo- 
calita: ad essere i simboli viventi delle qualita-morali 
e poliiiche delFeta loro. La storia dira se quel Lom- 
bardo che muore, sia un' espressione fedele delle atti- 
tudini morali del seeolo duodecimo: come gFItaliani 
d' oggigiorno potranno vedere se F altro Italiano, che 
vien dopo a riscontro, renda immagine dello spirito e 
dei caratteri del seeolo presente. 

Vogliano i discreti condonare alFinteresse delFar- 
gomento la loquacita di questi ragguagli. Qual si e 
poi conoscitore dei nostriannali, se nontrovasse a revo- 
car , leggendo la memoria di auesta luminosissima del- 
le epocfie italiane, quel compiacimento che provammo 
noi stessi ritraendola, queste linee sieno a lui per non 
iscritte. Che noi crederemo tuttavia di non aver sciu- 
pata al tutto F opera nostra t quando pur fossero di 
qualche opportunita a pochissimi tm 1 molti o i po- 
cni, che leggeranno questa poesia; piu lieti ancora. 
se mai saran seme che, anche ad un solo, fruttifichi 
il desiderio di conoscere per lungo e per largo la sto- 
ria (che pur da ogni Italiano dovrehb'essere conosciuta) 
delle Repubblicne Italiane del medio evo del signor 
Sismondj, dalla quale abbiamo,per la maggior parte, 
compilati questi ragguagli. « Perche niun popolo piu di 
voi (gridava il Foscolo da ben oltre trent' anni agF I- 
taliani) pud mostrare ne piu calamita da compiangere, 
ne piu errori da evitare, ne piu virtu che vi facciano 
rispettare , ne piu grandi anime degne d' essere libe- 
rate dalFobblivione. » 



GLI EDITORI 



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LE FANTASIE 



i 



Per entro i fltti popoli-, 
Lungo i deserti calli, 
Sol monte aspro di gieli, 
Nelle inverdite valli, 
Infra le nebbie assidue ; 
Sotto gli azzurri cieli; 
Dove che venga, 1' Esule 
Seinpre ha la patria in cor. 

Accolto in mezzo i liberi 
Al conversar fidente; 
Ramingo tra gli schiavi, 
Chiuso il pensier prudente; 
Infra grindastri unanirai; 
Aippo i discordi ignavi; 
fastidito, od invido, 
Sempre ha la patria in cor. 

Sempre nel cor 1* Italia, 

S'eH'anche obblia chi Tama; 

E carit& con cento 

Memorie lo richiama 

Lk sempre a quei che gemono, 

Che aggira lo spavento ; 

E a quei che trarH ambivano 

Di servi a libertft. 



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— 42 — 

S'ei dorme, i suoi fantasimi 
Sono 1' Italia; e vanno 
Baldi ne' sogni, o abbietti, 
A suscilargli affanno; 
E le parventi assumono 
Forme e- gli alterni affetti 
Ot dai perduti secoli, 
Or dalla viva et&. 

Era sopito l'Esule; 
Era la notte oscura; 
Con lui tacea d'intorno 
L' universal natura 
Presso a sentir k gelida 
Ora che 6 innanzi al giorno ; 
Quando il pensier su l'andito 
Un uom gli figur&. 

Dato ha il cappuccio agli omeri, 
Indosso ha il lucco antico; 
Cinto fe di cuoio, e viene 
Grave , ma in atto amico ; 
Trasfuso adi occhi ha il giubilo 
Come d'urralta spene; 
La sua patola k folgore: 
Dirla oggimai chi pu6? — 

L'han giarato. Li ho visti in Pontida 
Convenuti dal monte, dal piano, 
L' han giurato ; e si strifiser la mano 
Cittadini di venti cittk. 
Oh, spettacol di gioial I Lombardi 
Son concordi. serrati a una Lega. 
Lo straniero al pennon ch'ella spiega 
Col suo sangue la tinta dark. 

Piu sul cener dell'arso abituro • 
La Lombarda scorata non siede. 
Ella fc s6rta. Una patria elia chiede 
Ai fratelli, al marito guerrier. 

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— 43 — 

L'han giurato. Voi donne frugali, 
Rispettate, contente agli sposi; 
Yoi che i figli non guardan dubbiosi, 
Voi ne'forti spiraste il voler. 

Perchfe ignoti che qui non han padri, 
Qui staran come in proprio retaggio? 
Una terra, un costume, un linguaggio ^ 
Dio lor anche non diede a fruir? 
La sua parte a ciascun fu divisa. 
£ tal dono che basta per lui; 
Maladetto chi usurpa Taltrui, 
Chi '1 suo dono si la$cia rapir I 

Su, Lombardil Ogni vostro comune 
Ha una torre; ogni torre una squilla: 
Suoni a stormo. Chi ha in feudo una villa, 
Co* suoi venga al Comun ch'ei giiird. 
Ora il dado fc gettato. Se alcuno 
Di dubbiezze ancor parla prudente; 
Se in suo cor la vittoria non sente, 
In suo core a tradirvi pens6. 

Federigo? Egli fe un uom come voi, 
Come il vostro, 6 di ferro il suo brando. 
Questi scesi con esso predando, 
Come voi veston came mortal. — 
Ma son millel piu milat — Che monta? 
Forse madri qui tante non sono? 
Forse il braccio onde ai figli fer dono, 
Quanto il braccio di questi non val? 

Su! neirirto, increscioso Aiemanno, 
Sul Lombardi, puntate la spada; 
Fate vostra la vostra contrada, 
Questa bella che il ciel vi sortl. 
Vaghe figlie dal fervido amore, 
Chi nell'ora dei rischi e codardo 
Piti da voi non speri uno sguardo, 
Senza nozze consumi i suoi di. 

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— 44 — 

Presto, all'armi! Chi ha on ferro, 1'affilk 
Chi ud sopraso patl, sel rieordi. 
Via da noi guesto braoco d'ingordtt 
Gift l'orgoglio del fulvo lor sir! 
LiberU non Xallisce ai volenti, 
Ma U sentier de' perigli ell'addita; 
Ma rpromessa a chi ponvi la vita, 
Non fc premio d'inerte desir. 

Gusti anch'oi la sventara e sosfpiri 

L'Alemanno i paterni suoi focbi; 

Ma sia invan che il ritorno egli tavochi; 

Ma qui seonti dolor per dolor. 

Questa terra ch'ei catea insolente, 

Questa terra ei la morda caduto; 

A lei volga l'-estremo saluto, 

E sia il JagJiQ deH'uomo che muor. 



II 

Era sopilo 1'Esule; 
Era la notte oscura; 
I sogni suoi travolli 
Akra pingean figura. 
Bran sembianze cogoite, 
G\k discernuti volti, 
Gente su cai diffondesi 
Vitale anoora il sol. 

Quale il pife Undo esercita 
A danze pellegrine. 
Quale alio specchio b intent© 
A profumarsi il crine. 
E qual su molle coltrice 
S'adagia; e vinolento 
Rattien della fuggevole 
Gioia, cantando, il vol: — 



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— 4& — 

Pera chi stoUdoi 
Mi tedia l'antea, 
Qoerulo, indocile 
A servitiif 

Ebben! che impoctami 
Se omai T Italia 
Nome tra i popoli 
Nan serba piii? 

Forse che sterili 
StU colle i pampini 
Ai prandi niegano 
L'ilarita? 
Forse che i rosei 
Baci ne mancano, 
E i farti facili 
Delia beft&? 

Stringan riraperio 
Su noi gli estranei, 
Se la mia stringerlo 
Destra non pu6. 
Ma non sia ch'emulo 
Con me sollevisi 
Chi nella polvere 
Finor posd 

La notto vedila 
Tener le tenebre ; 
E il giorno limpido 
I bei color; 
Tai la progenie 
DelFuom dividono, 
Dile fati immobili, 
Gioia e dolor. 

Se vHia chi k in lagrimc, 
Sorga maledico 
Conlra le viscere 
Che il concepir ; 



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— 46 — 

Nfe lo spregevole 
Figliuol del povero 
Fra i nali al giubilo 
Stenda il sospir. 

Oh, il nappo datemi! 
Beviam! sommergasi 
Tutta de* gemiti 
La vanital 
Beviam! divampino 
E lombi ed anima ! 
Gli occhi scintillino 
Di volutta! 

Sul labbro scocchino 
Le oblique arguzie, 
1 prieghi e il calido 
Ghigno d'amor, 
Onde le cupide 
Mogli m'invocano 
Caro dei talami 
Trionfator I 

Beviam I chfe il domito 
Sposo non vigila; 
E anco la timida 
Divezzer6 ; 
Lei che il volubile 
Fianco e le grazie 
A'gai spettacoli 
Nuova rec6. 

Poggiato a un candido 
Sen, non m'assalgano 
Nenie per Titalo 
Defunto onor; 
Ma baci fervidi; 
Lepide insidie, 
Deliri, aneliti, 
E baci ancor. 



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-47 — 



III 



Era sopito FEsule; 
Era la notte oscuta; 
Tin altro il sogno.— Ei siede 
Svagato a una pianura. 
Stirpe di padri adulteri, 
Quivi trescar non vede, . 
Ma catafraLto un popolo 
Dalla batlaglia uscir. 

Quel che giur&r, l'attennero; 
Han combattuto, han vinto. 
Sotto il tallon dei forti 
Giace il Tedesco estinto. 
Ecco i dispersi accorrere 
Che scapigliati e srnorLi 
Cercan ridursi ali'aquile, 
Chiaman sussidio al sir. * 

Egli? — 6 scampato. II veggiono 
Nel bospo i suoi donzelli 
Le man recarsi al mento, 
Slracciarne i rossi velli; 
Mentre i lombardi cantici 
Col tr'ionfal concento 
A lui da tergo intimano 
Che qui non dee regnar. 

Preda dei primi a irrompere 
Nel padiglion deserio, 
Ecco ostentar pel campo 
L'aurea collana e il serto; 
E la superba clamide, 
E delle borchie il lampo 
Ecco, a ludibrio, l'omero 
Di vil giumenla ornar. 



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— m — 

Come tra i brandi, mistico 
Auspicio d'Israele, 
L'Arca del divin pat to 
Con lor venla fedele \ 
Cosl la croce, indizio 
Dell' immortal riscattov 
Cinta dal flor defmiliti, 
Qui sui Carrocck) sta.. 

Ecco,, i lor giaehi sciogfiexe, 
Depor le cervelliere, 
E lutte intorno al Crislo 
Si ripos&r le schiere. 
Eccole a Dio, cui temono, 
Prostrarsi, ed il conqoisto 
Gli riferir dell'ardua 
Lombarda liberta. 

Per la campagna, orribile 
Di morti e di morenti, 
Donne van mute in volta, 
Cercando impaz'ienti 
Quei che han mancato al novero 
Quando squilld a raccolta, 
Quando le madri accorsero 
Festanti ai \incitor. 

E arrch'essi han le lor lagrime; 
Figli delFuomo anch'essi, 
Che aspira ai gaudi, e interi 
Non gli son mai concessi! 
Curve \k donne ingegnansi 
D'intorno ad un che i fieri 
Spasimi di morte occttpano 
Con l'ultimo pallor. 

Sovra i nemici esanimi 
Ei si languia caduta. 
L'hanno le pie sorretto: 
L'hanno trar suoi renduto. 

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— 49 — 

Per tre ferite sangoina 
Rotto al guerriero il petto; 
M tutlavolta il rigido 
Pugna l'acciar lentd. 

Ma non han detto al misero 
Che pift non v'6 eui fera? 
Che in tutto il campo sola 
Sventa la sua bandiera? 
Che, cui la fuga all'avide 
Lance lombarde invota, 
Perde il Ticifro al valico, 
Li dk sommersi al Po? 

It sa Ghe spose ai liberi, 
Madfi d'angustia uscite 
Son queste die devote 
Baciau le sue ferite. 
Oh* quanta gioia irradia 
Le moribonde goto) 
Di qual conforto provida 
Rimerita il valor! 

Presso a migrar, lo spirito 
Si slringe al cor; Falta, 
L'agita, il riconduce 
Al batter della vita: 
Gli occhi vklii ripigliano 
A comportar la luce; 
Odi, suk labbro valida 
Ferve la voce ancor I — 

Dove son le tre nunzie de'santi, 
Le colombe die uscir dall'altare? 
Con die bello, die fausto aleggiare 
Del Carroccio alPantenna saltr! 
Fur le bande nimiche allor viste 
Ceder campo, tremar del portento, 
E percosso da miro spavenlo 
Rovesciarsi il cavallo del sir. 
Berchet. * 

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— 50 — 

Dio fa nosco. Al drappel de la Morte, 
Alia foga de' carri falcati 
Ei fu guida, per chiane e fossati 
Impigliando gli avversi guerrier. 
SI, Colui che par lento agli afflitti, 
£ il Dio vigil che pugna per essi ; 
Nel suo giorno ei solleva gli oppressi, 
Fa su i prenci il disprezzo cader. 

Or m'uditet Al giaciglio de'servi 
Questa rissa di sangoe vi loglie: 
Saldi, eretti, riarsi di voglie, 
Vi fa donni del vostro vigor. 
Ma vi afflda ud destin che v'e nuovo, 
Che vi sbalza su ignoti sentieri: 
A percorrerli voi, v'6 mestieri 
Altro spirto comporvi, altro cor. 

Oh! dannati que'giorqi quand'uomo 
Da qual fosse citti peregrino, 
Per qual porta pigliasse il cammino, 
Uscla verso un'esosa cittM 
Non la siepe che Porlo Y'impruua 
£ il confin dell'ltalia, o riughiosi; 
Sono i monti il suo lerabo: gli esosi 
Son le tonne che vengon di la. 

Le fmmane dei vostri valloni 
Si devian per correnti diverse; 
Ma nel mar tutte quante riverse, 
Perdon nome, e si abbraccian tra lor: 
Cosl voi, come il mar le lor acque, 
Tutti accolga un supremo pensiere, 
Tutti mesca e confonda un volere, 
L'odio al giogo d'estranio signor. 

Le citti, siccom'una con una, 
Abbian pace anche dentro; e Pinsegni, 
Col deporre i profani disegni* 
L'uom che stola e manipol vestl. 

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-51 -' 

Capitan, valvassor, cittadino 
Cessi ognun dei livori di parte. 
II Lombardo che 6 scritto ad un'Arte, 
Non dispetti chi un'altra segui. 

Al fratel di piij forte consiglio 
Chi vergogni obbedir non vi sia; 
Perchfc nulla vergogna piii ria 
Che obbedire al soldato stranier. 
Se un rettor, se un de' consoli falla, 
Tollerate anche i guai dell'errore, 
Perchfc nulla miseria maggiore 
Che in dominio d'estranei cader. 

E voi, madri, crescete una prole 
Sobria, ingenua, pudica, operosa. 
Libert^ mal costume non sposa, ♦ 
Per sozzure non mette mai pifc. — 
Addio tutti.... Appressate al morente.... 
Ch'io mi posi a una destra vittrice. 
Cari miei, non mi dite infelice; 
Non piangete, o fratelli, per me. 

Era allor da compiangermi, quando 
A scamparvi, per Dio! dal servaggio, 
Vi richiesi un dl sol di coraggio, 
E mi deste litigi e vilta! 
Tatto in gioia or mi torna, fin anco 
Se del tanto dolor mi ricordi. 
£ il dolor che n'ha fatto concordi : 
La concordia vincenti ne fa. 

Miser quei che in sua vita non colse 
Un fior mai dalla speme promessol 
Quei che senza venirgli mai presso, 
.Corse anelo, insistente ad un fin! 
Peggio aflcor, se qui giunto com'io, 
Qui sul passo che sganna ogni illuso, 
V6lto indietro, s'accorge confuso 
Ch'era iniquo il fornito cammin f 

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— SB — 

Ma la via ch'io mi sceki, fu santa. 
Ma il dover ch'era il mio, Fho compiuto. 
Qaesto di ch'io volea, l'ho veduto: 
Or clemente m'accolga Chi '1 fe' I 
Qualche volta, pensose la sera, 
Mi rammenlin le donne ai mariti: 
Qaaiche volia fce'vostri conviti 
Sorga alctlno che dica di me. 

— In parole fu acerbo con noi 
Fin che Italia nell'ozio si tenne. 
Quando il giorno dell'opre poi venne, 
Uno sguardo egli intorno girti; 
Pose in lance il servaggio e la morle; 
Eran pari;— e a Dio Talma commisc: 
In Pontida il suo sangue promise; 
II stto sangue a Legnano vers6.— 



IV 

Era sopilo l'Esule; 
Era la nolte oscura. 
II sogno erano agnelle 
Vaganli alia pastura; 
Campi che leni salgono 
Su per colline belle; 
Lontano a dritta ripidi v 
Monti, e altri monti ancor; 

Dinanzi una cerillea 
Laguna, un prorompente 
Fiume che da quell'onde 
Svolve la sua correnie. 
Sovra tant'acque, & specchio, 
Una citta risponde ; 
Guglie a cui grigio i secoli 
Composero il color; 



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— 53 — 

Ed irte di pinacoii 
Case, che su lor grevi 
Denno sentir dei ienti 
Verni seder le nevi; 
E finestrette povere, 
A cui ne'di tepenti 
La casaliDga vergine 
Infiora il davanzal. 

£ il tempo in cui Panemone 
Intisichisce e muore, 
Cedendo i Soli adulti 
A pid robuslo flore. 
Purpureo ecco il garofano 
Sbiecar d'in su i virgulti 
Deli'odorato amaraco, * 

Del dittamo vital. 

Per tutto 6 moltitudioe; 
£ un di come di testa. 
Donne che su i veroui 
Sfoggiano in gaia vesta; 
Giu tra la folta, un sSguito 
D'araldi e di baroni, 
Che una novella spandono 
Come gioconda a udir. 

Ma che parola parlino, 
Ma che novella sia, 
Ma che risposta renda 
Chi grida per la via, 
Nol pud il sognanie cogliere, 
Per quant'orecchio intenda: 
£ gente che con Fltalo 
Non ha comune il dir. 

Que' suoi baroni emergono 
Segnai d'un di vetusto : 
£ ferreo ii lor cappello, 
£ tutto maglia il busto : 

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— S4 — 

Tal fra le vfllte gotiche 
Distesa in su l'avello 
Gli avi scolpian l'effigie 
Del morto cavalier.— 

Passan da trivio in trivio: 
Dar nelle trombe fanno : 
Cennan che il popol taccia; 
Parlano. — Intente stanno 
Le turbe. E plausi e battere 
Di palme a quei procaccia 
Sempre il bandito annunzio, 
Sovra qual trivio il di6r. — 

Ma di cbe fan tripudio? 
Ma che parola han detto? 
'Ma sal cammin la calca 
Or di che sta in aspetto? 
La pompa ond'essi ammirano, 
Pi& e pii Ionian cavalcat 
E anco lontan non s'odono 
Trombe oramai squillar. 

Pur non v'fe un uom che smovasi 
A ceder passo altrui. 
Chi d'usurparlo ardisce, 
Balza respinto; e lui 
Del suo manchevol impeto 
Chi' I vantaggid, schernisce. 
Da ciascun gesto il tendere 
De'curiosi appar. 

Airondeggiante strepito 
Di si condensa gente, 
Ecco, una muta sosla 
Or sottentr6 repente. 
Pur nfe le trombe suonano, 
N6 palafren s'accosta 
Che porti del silenzio 
L'araldo intlmator. 

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— 55 — 

£ un quietar spontaneo, 
Un ripigliar decoro. 
Par anco peritosa 
Una sfidanza ia loro, 
Come di chi cod palpito 
S'appresta a veder cosa 
Che riverenza iosolita 
Sa che dee porgli in cor. 

Ecco far ala, e un adito 
Schiuder. Chi 6 mai che vegna? — 
Non da milizie scorti, 
Non da fastosa insegna, 
Son pochi, — sol cospicui 
Per negri cigli accorti : 
In mezzo il biondo popolo, 
Muovono lento il pie. 

A coppia a coppia, in semplici 

Prolisse cappe avvolti. 

Che franchi atti discretil 

Che dignity nei volti! 

Tra lor dan voce a un cantico; 

Tra lor Talternan lieti. 

Oh, delta cara Italia 

La cara lingua ell'61 — 

Lo stesso evangelo toccato da'suoi, 
Toccammo a vicenda; giurammo anche noi 
Quel ch'egli col labbro dei Conti giurd, 
Su l'anime nostra, su quella di lui 
Sta il patto: la perda, la danni colui 
Del quale avran detto che primo il falsd. 

In Curia solenne, fra un nugol di sguardi, 
Qual pari con pari, coi Messi lombardi 
Fu duopo al superbo legarsi di ftl 
II popol ch'ei voile punito, soggetto, 
Gli sfugge dal piglio ; gli siede a rimpetto, 
Leyala ia fronte, sicuro di sfc. 

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La pace t la pace t Rechiamola ai figli, 
Nunziamo alle spose finiti i perigli. 
Di ch'elle taiit'anni pei cari trem&r. 
L' immune abituro pregato ai mariti, 
Or Than; n& pit mogli di servi scherniti, 
Ma donne di franchi s'udranno chiamar. 

Addio, belle rive del flume straniero, 
E tu, mitigato signor dell'impero, 
E tu, pei Lombardi la fausta citt&. 
Tornati a sedere su i fiumi nativi, 
Compagno de'nostri pe»sieri piii giulivi, 
Costanza, il tuo nome perpetuo verri. 

Ma quando da canto le nostre lettiere 
Vedrem le so§pese labarde guerriere, 
E i grumi del sangue che un di le brutt& ; 
Un altro bel nome ricorso alia mente 
Diremo alle donne; ciascuna, ridente, 
Poggiatasi al braccio che i fieri prostr6. 

Direra lo sbaraglio del campo battuto, 
E il sir di tant'oste tre giorni perduto, 
Tre notti fra dumi tentando un sentier. 
La regia consorle tre notti l'aspetta, 
Tre giorni io chiama dali'alla veletta: 
Al quarto, — misviene fra i muti scudier. 

L'han eerco nel greto, nell'ampia boscaglia ; 
Indarnol — Sergenti, valletti in gramaglia, 
Preparan nell'aula Tesequie del re.— 
No, povera afflitta, non metterlo il bruno. 
Giu al ponte v'& gridi ; — lo passa qualcuno : 
E desso, — in castello ; .— domanda di te. 

No, povera afflitta, tu colpa non hai ; 
E il ciel te lo rende ; n& tu le saprai 
Le angosce sofferte dall'uom del tuo cor. 
Ma taci; e ti basti che vano k il corrotto. 
Nessun di battaglia s'attenti far motto ; 
Nessun con inchieste gl'irriti il rossor. 

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— 37 — 

£ altrovs, fc fra i balK del popol ritroso 
Che fervon racconti del dl ganguinoso. 
La chiede ogni voce: Go«rrteri, che fu? — 
Oh, bellol sul campo venir di que'prodi, 
Tracciarne i vestigi, ridirhe le lodi, 
Membrame per tutto Pandace virtfi! 

Nei dl del Signore, diriaozi gjj altari, 
Allor che 1'uom, netto d'affanni volgari, 
L'origin piu iritende da eui derive ; 
Ignoti al rimorso d'averla amentita, 
Oh bellol in sen plena sentirci la vita, 
Volenti, ppssentt, quai Dio ne cre6! 

Nel coglier dell'uve, nel mieter del grano, 
Dovunqao k una gioia, k fia serapre Legnano 
L'altera parola che il canto 4ira. 
Ma, guai pe' nipoli! se ad essi discesa, 
Diventa parola che muor non eompresa: 
Quel giorno Tinfarae dei giorni sar&. 

Snerbato, curante ciascun di sfc $olo; 
Qual correr d'estranei! qual onta sul suolo 
Che a noi tanto sangue, tant'ansie cost6. 
Allor, non di§tinti dai vilj i gemeoti, 
Guardando un tal volgo, diranno le genti: 

I RE CHE HA SUL COLLO, SON QUEl CHE MERT6. — 



Era sopito J'Esule; 
Era la notHe oscura; 
E nulla piii del lago 
'E delle grigie mura. 
Ecco ne'sogni mobili 
Una diversa imraago; 
Ecco un diverso palpito 
Del dormlente al cor. 



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— 58 — 

Pargli aver penne agli omeri, 
E ud ciel che Pjnnamora 
Battere, ai rai vermigli 
D'italiana aurora. 
Fiuta dall&lto i balsami 
De'suoi materni tigli: 
Gode in veder la turgida 
FogHa de'gelsi ancor. 

Come la vispa rondine, 
Tornata ov'ella nacque, 
Spazia sul pian, sul fiume, 
Scorre a lambir fin l'acque, 
Sale, riscende, librasi 
Su Tindefesse piume, 
Viene a garrir nei portici, 
Svola e garrisee in ciel; 

Cosi fidato all'aere 
Ei genial lo spira, 
IE cala ognor pid U volo, 
Piti lo raccorcia, e gira 
Lento, pfft lento, a radere 
II vagheggiato suolo; 
Com'ape fa indugevole 
Circa un fiorito stel. 

L'aia, il pratel, la pergola 
Dove gioia fanciullo ; 
L'erte indicate ai bracchi 
Nel giovenil trastullo; 
Le fratte d'onde al vespero, 
Chino a palpar gli stracchi, 
Reddla, colmo sul femdre 
Pendendogli il carnier; 

Tutti con l'occhio memore 
I siti, egli rifruga, 
I cari siti, ahi lasso! 
Che neiramara fuga 

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— 59 — 

Larve mandar parevano 
A circutrgli il passo, 
A collocargli un tribolo 
Sovra ciascun sentier. 

Rinato ai dl che furono, 
II mattin farsi ammira 
Piii rancio; e la salita 
»Del Sol piena sospira, 
Tanto che intorno ei veggasi 
Ribrulicar la vita, 
Oda il venir degli uomini, 
Voli dinanzi a lor. 

Tutta un sorriso b l'anima 
Di riversarsi ardente. 
Presago ei si consoty 
Nelle accoglienze; e sente 
Che incontreria benevolo 
Fin anco lei che sola 
Sa pur di quale assenzio 
Deggia grondargli il cor. 

Eccolo, il sol! Frettevoli 
Pestan la guazza, e fuori 
A seminati, a vigne . 
Traversano i coltori. 
Recan le facce stupide 
Che il gramo viver tigne; 
Scalzi, cenciosi muovono 
Sul suol "dell'uberte. 

Dai fumaiuoli annunziansi 
Ridesli a mille a mille 
I fochi dei castelli, 
Dei borghi e delle ville. 
Dove piii folto 6 d'uomini, 
A due, a tre, a drappelli 
Escono agli ozi, alFopere, 
Sparsi per la citta. 

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Son que$ti? £ questo il popolo 
Per cui con affannosa 
VegUa ei cerc6 il periglio, 
Perse ogni am*ta oosa? 
£ questo il desiderio 
DeU'inquieto esiglio? 
Questo il narrato agli ospiti 
Nobil nel suo patir? 

Ecco,. infra loro il teutono 

Dominator passeggia ; 

Li as&al con maoo avara; 

Li insidia; lj (Jileggia: 

Ed ei tacenti prostransi, 

Fidi aH'infame gara 

Di chi pid alacre a opprimere, 

chi 'I sia piu a servir. 

In t-ante fronti vacuo 
D'ogni viril concetto, 
Chi un pensier pud ancor vivo 
Sperar d'antico affelto? 
Chi vorria faryel nascere? 
Chi non averlo a schivo J , 
Come il blandir di feminine 
Sul trivio al passeggier? 

Lesto da crocchio a crocchio 
II volator trapassa;' 
E gl'indagawti sguardi 
Su quel, $u questo abhassa. 

1 bei presagi tornangli 
Ad uno ad un bugiardi; 
Pur vola e vola, e indocile 
Discrede il suo veder. 

Cola una donna? Ahi, mi$era! 
Qual caro suo Vk tolto? 
Non & dolor che agguagli 
Quel che Yk impresso in vol to. 

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— 61 — 

Par ch£ da forze perftde 
Messa quaggju in travagli, 
Sporga v6r Dio la lagrinta 
Cui glf. uataini insultfir. 

Patria !.. Spilberga !... vittime !. 
Suona fl suo gemer tristo.— 
Quel che dir voglia, il sanfio; 
Comi'elta pianga, hart visto; 
E niun con lei partecipa 
Tanto solenne affanno; 
Nina gl'infelici e il carcare 
Osa con lei nomar. 

Chi dietro tin flaulo gongola, 
Che di cadenze il pasca, 
E chi allibbfsce ombroso 
D'ogni stormir di frasca; 
Cdrae nel buio il pargolo 
Sotto la coltre &scoso, 
Se il di la madre, improvida, 
Di spattri a lui parl6. 

Altri il pusilto spirito 
Onesta d'un vel pio; 
Piaggia i tiraniri umile. 
E sen fa bello a Dio. 
Come se Dio compiacciasi 
Quanta piii r U om servile, 
L'uom sovra cui ia nobile 
Immagin sua stampd! 

E quei che fean dell' Hale 
Trombe sentir lo squillo 
La sulla Raab, soldali 
Del tricolor vessillo, 
Che a tener fronte, a^incere 
Correan, — per tutto usati 
L'Austro, il Boemo, TUnghero 
Caccfer dinanzi a se, 



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— 62 — 

Dove son ei? — Gi& l'inclita 
Destra omicida fe polve? 
Tutte virtd Y argilla 
Del cimilerio involve? 
de'conigli P indole 
Anco il leon sorbilla, 
E dei ruggiti immemore 
Lambe a chi '1 calca i pife? — 

Al dubbio amaro, l'Esule, 
Come una man gli fosse 
Po&ta a oppressar sul core, 
Si risenti ; si scosse 
A distrigar I'anelito, 
A benedir l'alb6re 
Che dalle vane immagini 
Al ver lo ravvi6. 

Desto; — ammutito, immobile 
II suol com'uomo affisse 
Che del suo angor vergogni: 
Poi quel che vide ei scrisse. 
Ma quel che ancor Tingenuo 
Soffre pensando ai sogni, 
Sol cui la patria fe un idolo 
Indorinar lo pu6. 



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I PROFUGffl DI PARGA 



PARTE PRIMA 



»NB 



• Chi k quel Greco che guarda e sespira, 
La sedato nel basso del lido? 
Par che fissi rimpetto a Corcira 
Qualche terra lontana nel mar. — 
Chi k la donna che mette uno strido 
In vederlo una rdcca additar? 

cEcco ei gorge. — Per l'erto cammino 
Che pensier, che furor l'ha sospinto? 
Ecco ei stassi chd pare un tapino, 
Cui non tocchi piii cosa mortal.— 
Ella corre — il raggiunge — dal cinto, 
Trepidando, gli strappa un pugnal.— 

c Ahi, che invan la pietosa il contrasta 
Gia alia balza perduta ei s'affaccia, 
Al suo passo il terren piu non basta, 
II suo sguardo sui flutti piomb6. 
Oh pavento! ei protende le braccia: — 
Oh sciagura! gia il sal to spice 6. — 

c Remiganti, la voga battete : 
Affrettate; — salvate il fureote. 
Ei delira un'orrenda quiete: 
Muore — e forse non sa di morir. — 
O^giS forse il meschino si pente; 
Gii rimanda a'suoi cari un sospir.» — 



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— 64 — 

Disse Arrigo. — E de'remi la lena 
L'ansia. eiur&a su Paeqae* dtetese; 
Ma a schernirlo dairima carena 
Fra i tacenti una voce sail: 
• Che t'importa, o vilissimo Inglese, 
Se un ramingo di Parga morl t » 

Quella voce b H dfispetto de' forti 
Che, traditi, piu patria non hanno. — 
Que'vog^Qii alia bell* cohort* 
Corciresi ritornan dal mar.-— 
Con lor passa a Corcira il Britanno 
Poi che i venti al suo legno mancar.— 

Come il reo che d& meule all'accusa, 
Senti Arrigfc I'ingiuria, e si tacque: 
Come II reo che non trova la sousa, 
Striase il guardo, la fronte cel6; 
E deirisola avara ov'ei oacque 
Sul suo capo l'infamia pesd. 

Ma un nocchiero i eompagni rinoora ; 
Sorgo un altro, e lor segoa un maroso; 
Ecco ua altro si affanna alia prora; 
11 go^erno da poppa rislS. ■*- 
Eccoun plaaso; • Suifmira il tuo sposo, 
Mira, o donna, perduto non 6.» — 

Quando Arrigo posarsi al naviglio 
Vede il miser, su lui s'abbandona, 
E, qual madre a la culla del figlto, 
Su le labbra alitando gli vien ; 
Delia vita il tepor gli ri{lona; 
Gli confojrta il respiro nel sen. 

I nocchieri a quel corpo grondante 
Tutti avvolgono a gara i lar panni; 
Tutti a gara d'intorno all'ansanle 
Gli affatica un'industre pieta. — 
Nolo a tutti & quell'uoni degli affanni ; 
Ognun d'essi la storia ne sa. 

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— 6S - 

S'ode un pianto : — * Discesa alia sptaggia 
£ la donna oh* invoca il consorte, 
E aHa voga che a lei gii v'iaggia 
Piii veloee scongiura il vigor* 
Malice* ua'angustia di morte 
Le Jravaglia la speme nel cor. 

A quel prego, 1 aa i banchi, -*- giulira 
Del riseatto, — la ciurma s'arranca;-* 
Gi& vioina biaacbeggia la riva; — 
Sotto prora gii I'onda spart; — 
Gii d'un guard o il salvato rinfranca 
La compagaa de'tristi suoi di. — 

L'uom di Parga alPostelto riposa; 
La sua stanca pnpiHa b sopita.— 
Ma, a custodia delKegro, la sposa 
Quaato & ltroga la notte veglid ; 
E a spiarne, tremaado, la vita 
Su ltti spesso ricurva pend. 

Nella veglia aogosciosa il Brifanno 
A la donna soccorre; e le dice: 
• Perchfe taci, e nascondi l'affamxo? 
Ah) mi-svela i segreti del daol; 
Narra i guai che al ddiro infeliee 
Feaao esosa la lace dei Sol.» — 

Era il chieder dell'uom che prepara 
Un conforto maggior che di pianto; 
E a lei scese sa i'anima amara, 
Come ad~ Agar la voce del Giel, 
Quando g\a<pe4 desert o, ed a canto 
Le gemea Passetato Ismael.— 

cortese, qualunque ta sia, 
No, d'aprirti il mio cor non mi pesa ; 
Ma ove l'angiol di Parga t'invia 
A veder di sue geati il dolor, 
Se tu ascolti parola d'offesa, 
Non irarti, ma piangi con lor. t — 
Berchet. 5 

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t 



— 66 — 

Ogni fiel di rampogna fatura 
-Temperft con ui detti l'onesta; . 
Poi, qual donna che il tempo misura, 
le' silqizio,* e alo sjo*o toinji; 
La man lieve gli pose alia testa , 
E contenta, un suo voto mandd: 

c Da le membra b svanito l'algore. 
Ah I sieri placjdi i sonni; e dal ciglio 
Si trasfonda la calma nel cuore : 
Nfe il funestin vaganii pensier 
Che gli parlin di patria, d'esiglio t 
Che gli parlin d' ollraggio stranier. » «— 

Oltre il mezzo 6 varcata la notte, — 
Nel tugurip le tenebre a stento 
Da una poca lacerna son rotte 
Che gia stride, vicina a mancar. — 
Fuor non s'ode uno spiro di vento t 
Non un remo che batia sul mar; — 

Tace Arrigo.— La Greca si asside 
A ridir le sue pene; e sovenle 
II sospir la parola precide , 
Fidea ne la jnente le muor, 
Perchfe t al letto dell'uomo languente 
La ricHiama inquleio l'amor. 



PARTE SECONDA 
il mjkwoMwm 

I 

Quando Parga e -il suo popol floria, 
Anch'io spesso jnelFalma gustai 
La gentil volUH* d'esser pia. 



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— 67 — 

Or caduta all' estremo de' gaai , 
Mi conforta che alraen su me torna 
Qiiella pi6ta che agli altri donai. 

Oh ! se un di per me lieto raggiorna; 
Se uq di inai rived r6 quelle mura 
Da cui l'odio di All ci distorna; 

Se mai vien ch'io risalga secura 
A posar solto il tiglio romito 
Che di Parga ipcorona i'altura; 

Fra i terrori del turbo sparito, 
Uq rifugio fia dolce al cor mio 
Rammentar chi m'ha salvo il marito. 

Ahii percossa dall'ira di Dio 
A che parlo speranze di pace, 
Se di morte il feroce desio 

Forse ancor nel mio sposo non tace? 

Ha i sonni son placidi ; 
Svanito b l'algor, 
La calma del ciglio 
Trasfusa 6 nel cor. 

Oh Dio! nol funestino 
Vaganti pensier 
Di patria, d'esiglio, 
D'oltraggiO stranier. 



II 

Dalle vetle di Suli domata 
L'infedele esecr6 le mie genti 
Che una sede ai fuggiaschi avean data. 

L&, su i templi del Dio dt'redenti 
Ecco il rosso stendardo dell'empio 
Elevar le sue coma lucenti. 



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— 68 — 

Quei cbe indisse a Gardichi lo scempio, 
Quei che rise in vederlo, ba givato 
Rinnovarne su Parga I'esempio, 

La sua tromba suond lo spietato; 
Noi la nostra; e scendemmo nell'ira 
Sul tcrreao d'Aghte desolato; 

Sul terren cbe le caste rimira 
Sue donzelle vendute al servaggro, 
E scannati i suoi prodi sospira. 

Gl'infelici eran nostro lignaggio, 
Nostri i cartipi; e a puriir noi scendemmo 
Chi insultava al tomune retaggio. 

E noi donne, noi pur combattemmo; 
accorrendo al luonar de' moschetti , 
Carche Parmi al valor provvedemmo. 

La vittoria allegr6 i nostri petti; 
E il guerriero asciugando la fronte 
Gii cantava i salvati suoi tetti. 

dik le spose reeavao dal fonte 
Un ristoro ai lor cari, e frattanto 
La vendetta cantavan dell'onte. 

• Ahi cessate la gioia del canto: 

Due fratelli il crudel m'ha trafitto; 
- L'un sull'altro perironmi accanto.t 

Cos! in Parga una voce d'afflilto 
Rompe i gridi del popol festoso 
Che ritorna dal vinto conditio. 

Ahi ) chi piange i fratelli 6 il mio sposo. 

Fur l'ultime lagrime 
Cb© il miser vers6 : 
Poi cupo neH'anima 
II duol rinserrd; 

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Con negri fantasimi 
PHi sempre il nodii; 
AM misero! miserol 
La vita abborrl.— 

Ha il sonno pit aggrevasi; 
Ritorna il tepor: 
Trasfusa dal xiglio 
La calma 6 oel cor. 

Oh Dio I nol ritentioo 
Vaganti pansier * 
Di patria, d'esiglio, 
D'oltraggio stranier* 

III 

Gome uscito alia strada il, lad^one , 
Se improvviso lo stringe il ppriglio* 
Riguadagna a gran passo il burrone; 

L& si accoscia, e dal vil nascondigUo 
Gira il guardo, ed agogna il momenta 
Di spiegar senza rischio Tartigiio: 

Tale All si sottrasse al cimento. 
Poi rivolto all'infmista piaoura, 
L'attristd d'un feral monamento.— 

Ma que'marmi non sod sepoltara 
Che piangendo ei componga al nipote; 
Arra son di sua rabbia futura.-r 

Sorge un yecchro, e predice: c Remote 
Ah) non son le rendette del vinto; 
Oggi ei fugge, doman vi percote. 

D'armi nuove il sno Banco * recinto; 
E alio vostre la punta fa scema 
In quel di che r arete respinto.t — 

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— 7a — 

Consigliera de'stolti b la tema. 
Stolto il veglio e chi udillo 1 — Fa questa 
De le n&stre sciagnre l'estrema. 

Noi vedemmo venir la tempesta; 
E dov'6 ohe cercammo salute? 
Nel covil della serpel — Oh funesta 

Ceciti de le menti Canute I 
Ob de' giovani racauta fidanza i 
Oh, vigilie (Je'forti perdute! . 

Pid di libere genti la stanza 
Non b Parga, Urfestrania bandiera 
£ il segnal di sua nuova speranza. 

La sua spada b una spada straniera; 
I non vinti suoi figli all'Inglese 
Han commesso cbe Parga non pera. 

De' tem^nti Egli il gemito intese , 
E, signor delle vaste marine, 
Come amico la destra ci stese. 

Ecco Ei siede sul nostro confine: 
Ecco Ei giura nel nome di Crislo 
Far secure le genti tapine. — 

Ahil qual fe ci b serbata dal tristo. 
A che laccio il mto popol fa cftlto, 
Sdl quest' uomo su cui mi contristo, 

Questo forte che il senno ha sconvolto.— 

Ma Tansie cessarono; 
Pid lene b il sopor: 
La catma trasfondesi 
Dal ciglio nel cor. 

Oh Dio i non la turbino 
Lugubri pensier, 
Crucciose memorie 
D'oltraggio slranier. 

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— 71 - 

IV 

Squilla ifl Parga l'annunzio d'un bando: — 
Posti a prezzo dair Anglo noi siamo, 
Come schiavi acqnUtati col bran do.— 

Vano 6 il pianger; schernito 6 il richiamo; 
G\h il vegliardo delPempia Giannina 
Co' suoi fofille avanz^rsi vegglamo. 

Gte gii tolta airinflessa vagina 
Sfronda i cedri del nostro terreno 
LMnsultanle sua sciabla azzurrina. 

Egli viene: — dal perfldp seno 
Scoppia il gaudro delrira appagata; 
La bestemmia £ sul labbro alVoseeno. 

Non 6 il forte che sfldi a giornata ; 
£ il viljano che move securo 
A sgozzare Pagnella comprata. 

Ah! non questo, o Britanni, b il futuro 
Che insegnavan le vostre promesse, 
Questi i patti, o sleali, non furo. 

Pur quantunque deluse ed oppresse, 
Le mid geati ai suparbo Ottomanno 
Non offrlr le cerrici sommesse. 

Un sol voto di mezzo alPaffanno, 
Un sol grido fa il grido di tutti: 
€ JVb, per Diot non si serva al Tiranng.* 

Quindi al crudo paraggio condutti, 
Preferimmo Fesiglio. — Ma questi 
Ch'oggi tu m'hai scampato dai flutti, 

Fin d'allora in suo cor piu funesti 
Fea consigli, e ne' sogni inquleti 
lo, vegghiando, l'udia manifesti 

Darrai i segni de* fieri segreti.— 

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— 72 — 

Ma i sonni prolungansi, 
L'affanno cess6; 
Le membra trasudaao; 
n cor si calmti. 

Stcei* le imnagini 
Ti formi il peosier; 
sposo, dliftentica 
L'olLraggio straoierl 



Eran quelli i di saoti ed amari, 
I dl quanda II fedele si atterra 
Ripentito afgli squallidi altari, 

Ove l'inao lngfibre disscrra 
Le memorie, dei lunghi dolori 
Con che Cristo redense la terra, 

Li, repress.i i profani rancori, 
Offeriramo le aogosce a quel Dio 
Che per noi w pati di maggioru 

Poi gemendo il novissimo addio, 
Surse, e Forme de' suoi saeerdoti 
Tacituraa la turba segaio. 

Que'ne trasserli dove, remdti 
Da' trambosti del mondb, e vivertti 
Nel pit caro pensier de* nijpotf, 

Sotto il salcio dai rami piangenti 
Dormlan ffli avi di Parga sepolti, 
Dormian Fossa de'nofctri parent j. 

Qui, scoverte le fosse, e travolti 
I sepolcri, dal campo sacrato 
Gli onorandi residui fur tolti, — 



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Ah t dovea, su le toisbe spronato, 
II cavalto dell' empio quell'o&*a 
A' ludibri segoar del soldato**— 

Da pieti, da dispetto commossa 
Va la turba, e sal rogo le aduna 
Cbe le involi alia barbara possa. 

Guizza il fuoco: — alfestrema foriuna 
De' sttoi raorti h vergin, la sposa 

I rectsi capegli accomuna. 

Guizza il frioco : — la stbiera anhnosa 
De' mariti il difende; e ippreasana 
La vattgaardia dell' empio dm osa. 

Guizza il fifteco v ^ diva^paj-^soa, ar$e 
Le reliquie de* padri ; — ed it vento 
Gii ne fura le ceneri sparse. — 

Quando il rogo tolnereo fa spento, 
Noi partimmo : — e chi dir ti potria 
La miseria del nostra limeAta? 

La piangeva una raadre, e s'udia 
Maledire il fecondo suo letto, 
Mentre i figli di baci copria. 

Qui toglievasi un'altra dal petto 

II lattapte, e fermando il cammino, 
Coo islrano delirio d'affietto 

Si calava al roscello viclno, 
Vi bagnava per r ultima volta 
Nelle patrie fontane il bambino. 

£ chi un ramo, on cespuglio, chi stolta 
Dalle patrie cainpagne traea 
Una zolla nel pugno raccolta.— 

Noi salpammo : — . e la queta marea 
Si coverse di lunghi ululati, 
Sicchfe il dl del naufragio parea. ~ 

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— 74 — 

Ecco Parga b deserta. Sbandatt 
I suoi figli coosuman neL duolo 
I destini a cui furon dannati.— 

Io qui venni mendica; e cid solo 
Che rimanmi b quest' oom del mio core, 
E i pensier eon efae a Parga rirolo. 

Ei non ha che me sola, ie il furore 
De* suoi sdegni, e de' morti fratelli, 
Questi avanzi di pianto e 4'amore, 

Li riarenne all'apiir degli avelli; 
Gariti si sevtra ne '1 punae, 
Che, geLoso, alia piira non dielli, 

Ma eompagni alia fuga li assunse. 



PARTE TERZA 

L'ABPOHIRAIIOlflt 

Nnnziatrice dell' alba gii spira 
Una brezza leggiera leggiera 
Che agli aranci dell'ampia Corcira 
Le fragrance pift pure invold. — 
Ecco i I Sol che la bella costiera 
, Risaluta col' primo sorriso, 
E d'un guardo rischiara improvviso 
La capanna ove l'egro posft. — 

Egli b il Sol che fra bellici stenti 
Rallegrava agli Elteni il coraggio. 
Quando in petto alle libere genti 
Delia palria fremeva l'amor, 
Quando al gio^o d'estranio servaggio 
Niun de' Greci curava il pensiero, 
E alia madre giurava il guerriero 
Di morire o lornar vincitor. T 

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- 78 — 

Come foglia in balia del torrente, 
Ahi, la gloria di Grecia fe sparita I 
L'aure antiohe or qui trovi, e fiorente 
Delle donne la bruna belts ; 
Ma in le fronti virili scolpita 
Qui tu scorgi la mesta paura, 
Qui 1' improota coo cui la sveutura 
Le presenta all'umana pietS. 

Sol, che a libere insegne vedrai 
Batter forse qui ancor la tua luce, 
Sol di Scheria, i tuoi limpid! rai 
Sien conforto a un tratttto guerrier: 
Qui, vagando a rifugio, il conduce 
D'una aposa il solerte consiglio; 
E tu qui, fra la morte e l'esiglio, 
Fa ch'ei scelga il pid mite voler.— 

Dal guancial de' suoi sonni al mattioo 
L'uom di Parga levft la pupil la: 
II pallors b sul volto el meschino; 
Ma il terror, ma l'angoscia non v*fe. 
Un ristoro che il cor gli tranquilla 
Son gli.olezzt del giorno novello; 
E quel Sol gli rifulge pift bello 
Che perduto in eterno credfe. 

Ma perchfc, se il suo spirto b pacato , 
Perchft almen nol rivela il saluto? 
Perchfe a lei che il sorregge da lato 
Con un bacio ei non tempra il dolor? 
Perchfe immoto sull'uom sconosciuto 
II vigor de* suoi sguardi s'arresta? 
E che subita flamma b codesta 
Che in la ghancia gli vive e gli muor? 

Ben Arrigo la vide : — e compreso 
Da che affetto il lacente sia roso, 
Come l'uom che propizia un offeso, 
Questa ingeoua parola tent&: 

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— 76 — 

«0 straniero, al too cor dotoroso 
So ch'orreoda $ l'assfoa eh'ievesto; 
So ch'io tutti qui git odi ridesto 
Che l'infida mia patria mertd. 

cMa se i pochi che seggon tiranni 
Delle sorti dell'An^lia, far vili, 
Tutti no non son vili i Britanni 
Che ritrosi go?erna il poter. 
Premian croci ingeminate e monih 
La spergiura amista di que' peohi ; 
Ma ritfamta ehe ad essi tu invochi 
Mille Inglesi inprec&rla primier. 

€ Mille giusti il cdi senno prepone 
Al favor de* potenti i lor sd^gni, 
Mille giusti in le vie d'Albtone 
Pianserirubblico pianto quel dl 
Che aggirato eon pecfldi t&gegui 
Narr6 un popol fidente ed amico, 
Poi vendoto al mprtal suo nemico 
Da quel braocio che scampo gli offrl ; 

cOh rossort Ma il sacriletfo patto 
Nol segn6 questa man ch'io ti stendo; 
Ma non complice fu del misfatto 
Questo petto che gemeper te.— 
Non tu solo se';il miser. Tremendo, 
Ben piu assai che Taverla pprduta, 
Egli 6 il dir: La mia patria 6 oaduta 
In obbrobriq alte genti ed a me. 

• Per lMngiuria che 6ntrambi hapercosso. 
Or tu m'odw o fratel di doloref 
Io nfe il suol da' tuoi padri a le posso, 
Nfe la bella ridir liberli; 
Ma se in te non prevale il rancore, 
Se preghiera frateroa k gradita, 
Dal fratello ricevi un'alta 
Che men grami i tuoi giorni fari.» — 

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— 77 - 

Cosi Talma scbiudea quell' afflitto; 
Cosl, largo di doni e di pianto, 
Col rrmorso egli sconta il delitto, 
II delitto che mai not macchid. — 
Piange anch'essa la Greca v e di tanto * 
II penar del pietoso l'accora, 
Che 1e par mal ve^riuta quell' ora 
In cui mesfa i suoi casi narrd* 

Ella tace, e col guardo prudente, 
Vedit il guardo elta ceroa alio sposo. 
Yedi coofe n' eaplora la mentef 
Come in votto il tra?aglio le appart I 
Chi sa mai se dell'uom generoso 
Fien disdetti i soccorsi od accolti? — 
.Ma una vqce prorompe ; — s'ascolli ; 
£ il ramingo che sorge ' a parlar : 

tTienti i doni, e li serba pe'gaai 
Che la col pa al tuo popol matura. 
Lk , nel dl del dolor, troverai 
Chi vigliacco ti chiegga pietft. 
Ma v' b un duglo, ma v' b una sciagara 
Che fa alt.ero qoal uom ne sia cfllto: 
E il son to: — nfc chi tut to m'ha tollo 
Quest'orgogtio rapirmi potra. 

tTienti il pianto; nol voglio da un ciglio 
Che rihrezzo inviocibil m # inspire :— 
Tu se'un giuato : -*- o che importa? sei figlio 
D'uaa terra esectanda per me. — 
Maladettal dovunque sospira 
Gente ignuda, genie esule o schwa, 
Ivi un grido bestemmia la prava 
Che il mercato impudente ne fe\ 

t Mentre ostenta che il Negro si assolva, 
In Europa ella insulta a' frateJIi ; 
E qual prema, qua! popol dissolva, 
Sla librando con empio saver. — 

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— 78 — 

Sperdi, o cruda, calpesta gli imbellit 
Fia per poco. — La nostra vendetta 
La fa' il tempo e quel Dio cbe l'affretta, 
Che in Europa avvatora il pensier. — 

c Io vivea di memorie ; — e il mio senno 
Da manie, da fantasmi fa vinto. 
Veggo or r ire che compier si denno : — • 
E pid franco rivivo al dolor. 
Questa donna che piansemi estiato, 
Questa cara a cui tu mi rende*ti, 
Piu non tremi : a disegni funesti 
Piii non fia che mModuca il furor. 

«Forse il di non 6 lunge in cui tutti 
Chiameremci fratelli, allorquando 
Sopra i lutti esplati da' lutti 
II perdono e Tobblio scorreri. — 
Ora gli odi son verdi : — e nefando 
Un spergiuro li intima al cor mio; 
Perd ? s'anco a te il viver degg'io, 
Sappi ,cb' io non ti rendo amUU ; 

• Qui starft nella terra straniera; 
E la destra onorata , su cui 
Splende il callo dell'els^ guerriera, 
A* servigi piii umlli|oflfrir6. — 
Rammentando qual sono e qoal fui , 
I miei£figli 9 per Dio I fremeranno ; 
Ma non mai vergognati diranno: 
Ei dall' Anglo il auo frusto accatt6.» 

L' uom di Parga giurd ; — nfe quel giuro 
Mai falsato dal miser fu poi ; — 
Oggi ancor d' uno in altro abituro 
Desta amore a chi asilo gli difc. 
Scerne il pasco ad armenli non suoi ; 
Suda al solco d'estranio terreno, 
Ma ricorda con volto sereno 
Che Tangusiia mai vile nol fe\ 

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— 79 — 

Fosca, fosca ogni dl piii s'aggreva 
Su lo spirlo d'Arrigo la noia; 
Nessuo dolce desir gli rileva 
Qualctae bella speranza nel sen; 
Nod gli ride un sol lampo di gioia; 
Teme irata ogni voce ch'ei seota; 
Vede un cruccio, uno scherno paventa 
Su ogni volto che incontro gli vien. 

La sua patria ei confessa infamata, 
La rinnega* la fugge, l'abborre; 
Pur da allrui mat la soffre accusata, 
Pur gli duole che amarla non pu6. 
Infelice! L'Europa ei trascorre; 
Ma per tutto la iosegue un lamento : 
Ma una terra che il raccia contento, 
Infelice t non anco trov6. 

Va ne' climi vermigli di rose, 
Lungo i poggi ove eterno frl'ulivo, 
A traverso pianure che erbose 
Di molt'acque rallegra il tesor; 
Ma per tutto, nel piano, sul clivo, 
Giu ne' csampi, di mezzo a' villaggi, 
Sente l'Anglia colpata <f oltraggi, 
Maledelta da un nuovo livor. — 

Va in le valli de' tristi roveti, 
Su pe' greppi ove salta il camoscio, 
Gift per baize ingombrate d'abeti 
Che la frana da'«gioghi rapi; — 
Ma ove tace, ove mugge lo stroscio 
Quando l'alta valanga sprofonda, 
Da per tutto v'fe un pianto che gronda 
Sovra piaghe che l'Anglia ferl. 

Varca flumi, e di spiaggia in spiaggia 
Studia il passo a cercar nuovo calle. 
Per citti, per caatelli vlaggia, 
Nfc mai ferma I'erranle suo pte. — 



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_ 80 — 

Ma per tut to, di fronte, aHe spatle, 
Ode H lagno di genii infinite, 
D'aitre genti dall'Anglia tradite, 
D' alt re geafci che l'Anglia vendfe* 



CLARINA 



aOMXNIA 



Sptto i pioppi della Dora, 
Dove l'onda k ptik romita, 
Ogoi di, su Tufiirn'ora, 
S' cwjte un suono di dolor. — 
JEClarioa,»a cni k vita 
Rodoo V.ansie dell' amor. 

Poveretta! di Gisjnondo 
Piange i stenti, a lui sol pensa. 
Fuggitivo , vagaboodo 
Peqa il misero.i suoi dl; 
Mentre assunto a regal mensa 
Ride il vile che il tradl.— 

Gia mature ne) tuo seno, 
Bella Italia, fremean Tire; 
Sol mancava il dl sereno 
Delia speme — e Dio 1 creft : 
Di tre secoK II desire 
In volere Ei ti cangid, 

• 



- 8* — 

Oh ve&tura 1 e alio strapiero 
Che il pi6 grava sul tuo collo , 
Pose, il bpio nel pepsierq, 
La pwra deptro il qqr; 
Cott$ vUUma segooljo 
Ai tuo y'miwi rappor. 

Grid* roikta 4el s$mggH> ; 
8iai» fr*telli: aU'anpe, all'arme! 
G'mm $ l'Qra jo cui i'Qltraggio 
Denno i Parbari scoptar. 
Sttwi Italia ip ogoi carme 
Dal C^i^io ipflpp al mar. 

— T*Ui itfHW* \m baodiera -nrr 
Fa il elapse <Jell$ aq*a4rp, 
D'ogni pip fp U pregbiera, 
D'ogni savjo fa il valer; 
D^cpi sposa, d'Qgpi wtfjre 
Fu de' p&lpjti il prwter. -> 

E GUriea al suo ditettQ 
Cinse il branda; e trisolpre 
La eacearda wU'tbutttP 
Di sua maw gli coil^: 
Poi, ^offusa di rossor*, 
Cop w ba«io il wpg#d<>, 

Ma iodiscrata sul bel yqH<* 
Una Jagrwa pur s^e ? 
Ei la yide; e al ciel rivojto 
Dte up sospiro e impaHi^U; — 
E la verging cortess 
it gwrrwro ipapintf i 

t Fermi sieno i postri petti; 
Que&to ij giorpo 4 deU'oaore: 
Sa^a infeaMa a wlU affeiti 
Ceflep Qggi non pupi tu, 
Ahi! pba giova aoco J'aijwe 
Per cbi freme in $ervitfc? 

BBECB1T, # 

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— 82 — 

tVa, Gismondo; e qual ch'io sia, 
Non por mente alle mie pene. 
Una palria avevi in pria 
Che donassi a me il tuo cor: 
Rompi a lei le sue catene, 
Poi t'inebria dfeH'amor. 

tYa, combatti — e nei perigli 
Pensa, o caro, al dl remoto 
Quando, assiso in mezzo ai figli, 
Tu festoso potrai dir: 
Questo brando , a lei devoto , 
Tolse Italia dal servir. t — 

Poveretla ! — E tutto sparve f 
I patiboli , le scuri 
Di sua mente or son le larve, 
La fallita Liber t&, 
L'armi estranie, i re spergiari, 
E d* Alberto la vilti. 

Lui sospinto avea il suo fato 
Su la via de' gloriosi ; 
Ma una infame il sciagdralo 
Ne preferse ; e in mano ai re 
Di6 la patria , e i generosi 
Che in lui post* avean la ft. 

Esecrato, o Carignano, 
Ya il tuo nome in ogni gentel 
Non v'fe clima si lontano 
Ove il tedio , lo squallor , 
La bestemraia d'un fuggente 
Non ti anntinzi traditor. 

E qui in riva della Dora 
Questa vergine infelice , 
Questo lutto che le sfiora 
Gli anni, il senno e la belta, 
Su Pesosa tua cervice 
Grida sangue — e saague avri. 

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3 

— 83 — 

Qui Gismondo, il dl fatale, 
Scansd l'ira dei tiranni; 
Di qui mosse — e il tristo vale 
Qui Clarioa a lui gemfe; 
£ qui a pianger vien gli affanui 
Delramante cfae perdfe. 

Pitt fermezza di consiglio 
Ahi, Don ha la dolorosa! 
Fra le angustie deiresiglio 
Lunge lunge il suo pensier 
Va perduto senza posa 
Dietro i passi del guerrier. 



IL ROMITO DEL CENISIO 



ROMANZA 

Viandante alia ventura , 
L'ardue nevi del Genisio 
Un estranio superd; 
E deH'itala pianura 
Al sorriso interminabile 
Dalla balza s'affacci6. 

Gli occbi alacri, i passi arditi 
Subitaneo in lui rivelano 
II tripudio del pensier. 
Maravigliano i romiti,* 
Quei che pavido il sorressero 
Su pei.dubbi del sentier. 

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— 84 — 

Ma Tun d'essi, col diapetto 
D'uom crticclato da misene, 
Rompe i gaudi al viator, 
Esclaiftando t *- « Maledetto 

Chi a'accosta seaza piaugere 

Alia terra del dolor U 
Qual chi fccoaao dMmprovvteo, 

Si risente d'un'ingiuria 

Cb4 noo sa di meritar; 

Tal sul vecchio del Ce&iaio 

Si rivolse quell' eatranio 

Scuro U gnardo a saettar. 
Ma fu un lampo.— Del Romito 

Le pupille venerabili 

Una lagrima vel6 ; 

E I'estranio, impielosito f 

Ne'misteri di quell' anima, 

Sospettando, penetrd. 

Chenm di a iui, nell'aule &J|«nti 
Li lontan su 1'odda baitiea, 
Dair Italia and6 un roraor 
D'oppressori e di frementi, 
Di speranze e di dissidi, 
Di tumulti annunziator. 

Ma conf uso , ma fugace 
Fu quel grido: e ratto a sperderlo 
La parola usci dei r^, 
Che narr& composla in pace 
Tutta Italia , ai trdni immobili 
Plauder lieta, e giurar ft.— 

Ei peosa?a:^-Noo £ lieta> 
Non pud stanza esser del giabilo 
Dove il ptanto ft al limiiar,— 
Con lnchie&ta imaasueta 
Tenta il cor del Solrtario , 
Che rispose al suo pr«$ar: 

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- to - 

cNon 6 Heta, ma pensosa; 
Non Vft plausb, ma sflenzio; 
Non v'6 pace , ma terror. 
Come fl mar su cai si posa, 
SottO immensi i gaai d' Italia, 
Inesauslo il suo dolor. 

tLibertJ voile; ma, stolta! 
Credfe ai prenci, e osft commettere 
Ai lor giuri il suo voler. 

I snoi prenci Than travolta, 
I/ban ricinta di perfidie, 
L'han vendula alio stranier. 

tDa quest* Alpi infino a Scilla 
La sua legge fe il brando barbaro 
Che i suoi rtgoli invocir. 
Da quest' AI pi inflno a Scilla 
E delicto amar la patria , 
ft una colpa il sospirar. 

• Una ciurma irrequieta 
Seosse i cenci, e giii dal Brennerd 
Corse ai Fori , e li occup* : 
Trae le gentf alia segfeta , 
Dove iroso quel le giudica 
Che bugferdo le accusft. 

«Guarda; i figH dell'affanno 
Su la mam ineurvi sudano: 
Va, ne interroga il sospir: 
QntBte braceia^ ti diranno, 
Se&rne pemno onde mietere 

II tribute a un stranio sir. 

tVa, discendi, e le bandiere 
Cerca ai prodi: oArca i lauri 
Che all 9 Italia il pensier did.— 
Son disciotte te sue sehiere ; 
£ egmpresso il labbro ai savii; 
Stretto in ferri ai giusti il ptt; 

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— 86 — 

cTolta ai solchi, alle offlcine 
Delle madri al caro eloquio 
La robusta gioventft, 
Data in rocche peregrine 
Alia verga del vil Teutono 
Che Teddchi a servitd. 

<Cerca il brio delle sue genti . 
Air Italia; i di che furono 
Alle cento sue citti; 
Dov'fe il flauto che rammenti 
Le sue veglie, e delle vergini 
La danzante ilariti? 

cYa, ti bea de' soli suoi; 
Godi Taure; spira vivide 
Le fragranze de'suoi fior. 
Ma, che pro de'gaudi tuor? 
Non avrai con chi dividerli: 
II sospetto ha chiusi i cor. 

tMuti intorno degli alari 
Yedrai padri ai figli stringersi: 
Yedrai nuore impallidir 
Su lo strazio de* lor cari % 
E fratelli membrar invidi 

I fratelli che fuggtr. 

tOhl perchfc non posso anch'io, 
Con la mente ansia , fra gli esuli 

II mio figlio rintracciar? 

mio Silvio , o figlio mio , 
Perchfe mai neir incolpabite 
Tua coscienza ti fidar? 

t Oh , T improvvido ! — V han colto 
Come agnello al suo presepio ; 
E di mano al percussor 
Sol dai perfidi fa tolto 
Perchfc, avvinto in ceppi, il calice 
Beva lento del dolor; 

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— 87 — 

f Dove uo pio mai non consola, 
Dove i giorni non gli numera 
Altro mai che r alter nar 
Delle scolte...» —La parola 
Su le labbra qui del misero 
1 singulti soffoc&r.— 

Di cpnforto lo sovviene, 

La man stende a lui l'estranio. ~* 

Quei sul petlo la serr&: 
* Poi com' uom che pid '1 rattiene 

Pii gli sgorga il pianto, all'eremo 

Col compagoo s'avvi6> 

Ahi 1 qual alpe si romita 
Pu6 sottrarlo alle memorie, 
Pu6 le angosce in lui sopir 
Che dal turbia delta vita, 
Dalle care consuetudini , 
Disperato, il dipartlr? — 

Come il voto che , la sera , 
Fe' il briaco nel convivio , 
Rinnegato fe al nuovo dl;j 
Tal, sa l'itala frontiera, 
Dell' Italia il desiderio 
All'estranio in sen mori. 

Ai bei soli , a' bei vigneti , 
Contristati dalle lagrime 
Che i tiranni fan versar, 
Ei preferse i telri abeti, 
Le sue nebbie ed i perpetui 
Aquilooi del suo mar. 



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— a» 



11 HI MO R SO 



Ella 6 i 
Sola , 

m a] 

Osa i 
Vede 
Ma n 
Ode i 
Ma v6r lei neppur una volar. 

tin fanciullp Che madre la dice 
S'apre 11 passo, le corre al ginocchio, 
£ co' baci la lagrima elice 
Che a lei gonfia tremava nelfoCchio. 
Come rdsa, k fiorente il fanciullo: 
Ma nessuno a mirarlo risti. 
Per quel pargolo an vezzo* un trastullo, 
Per la madre un saluto non y 9 ha. 

Se un ignaro dotnabda al vicino 
Chi sia mai quella mesta pensosa 
Che su i ricci del biondo bambino 
La bellissima faccia riposa; 
Cento voci risposta gli fanno, 
Cento scherni gl'insegnano il ver: 
t£ la donna d'un nostro tiranno, 
tE la sposa delFuomo stranier.* 

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Ntf tftatri, lttagbetfco le vie, 
Fin ad teropto del Dk> clto perdona, 
Infra mi popol rictBto di spie* 
Fra una gente cruoiata e prigiooa, 
Serpe l'ira d'un motto somraesso 
Che il terror^ compriiiier non pu&: 
tMaledetta Chi ffiiato amplesso 
til tedesco soldato b66 1 • 

Ell' 6 sola; — ma i Vedovi giorni 
Han conlato il suo cor doloroso ; 
E gta batte, g\k estiita che torni 
Dal lontano presidio lospteo.— 
Non 6 vero. Per questa negletta 
£ finlto il sOSpifo d*afnof ; 
Altri sono 1 pefcsidl* Che l*han stretta, 
Altri i guat che leitigrufesano il cor. 

Quando I'onte cbe il di Than ferila 
La perseguoa s fantasmU all'bscuro; 
Qaando vagan su l'alma smarrita 
Le memorie e il terror dtol fuiuro ; 
Qaando sbalza dai sogni e pon menfce 
Come udisse il suo ndto vagir; 
EgH 6 i\lot Che alia veglla inclemente 
Costei Ada il secreto martir: 

'•Trista met Qua! vendetta di Dio 
Mi cerchid di caligine il sen no, 
Qaando por la mia patria in obJio 
Le straniere tasinghe mi fenoO? 
Io, la vergin ne'gaudi cercata, 
Festeggiata — fra I'ftale un dl, 
Or chi sono? I'&tiodtata esosa 
Che vogliosa— al suo popol mentl. 

• Bo disdetto i comuni dolori i 
Ho negato i frateUi, gli oppressi; 
Ho sorriso ai superbi oppressori; 
A seder mi son posta con essi. 



— '90 — 

Yilet uo maoto d'infamia hai tessuto, 
L'hai voluto, — sul dosso ti sta; 
Ni per gemere, o vil, che farai, 
Nessuo mat — dal tuo dosso il torri. 

cOht H dileggio di ch'io sod pasciuta 
Quei che il versan non san dove sceode. 
Inacerban rumil ravveduta ^ 
Che per odio a lor odio non rende; 
Stoltat il merto, chfe il ptfe non rattengo t 
Stolta 1 e vengo -— e ri?elo fra lor 
Que&ta fronte che d'erger m'fe tolto, 
Questo volto — dannato al rossor. 

tVilipeso, da tutti reietto, 
Come fosse il figliaol del peccato, 
Questo caro ? senz'onta concetto, 
E un estranio sal suol dov' 6 nato. 
Or si salva nel grembo materno 
Dallo scherno — che intender non sa ; 
Ma la madre che il cresce airinsulto 
Forse, adulto — a insultar sorgert. 

<E se avvien che si destin gli schiavi 
A tastar dove stringa il lor faccio; 
Se rinasce, nel cuor deglMgnavi 
La coscienza d'un nerbo nel braccio; 
Di che po[M>l dirommfi? A che fati 
Gli esecrati — miei giorni unir&? 
Per chi al cielo drizzar la preghiera? 
Qaal bandiera — vincente vorr6? 

tCittadina, sorella, consorte, 
Madre — ovunque io mi volga ad un fine, 
Fuor del retto sentiero distorte 
Stampo Forme fra i vepri e le spine, 
Yilel ub manto d'infamia hai tessuto; 
L'hai voluto, — sul dosso ti sta; 
Nfe per gemere, o vil, che farai, 
Nessun mai — dal tuo .dosso il torri. • 

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— 91 — . 

MATILDE 

ROMANZA 

La fronte riarsa, 
Stravolti gli sguardi; 
La guanoia cosparsa 
D'angustia e pallor: 

Da sogni bugiardi 
Matilde atterrita, 
Si desta, s'interroga, 
S'affaccia alia vita, 
Seongiura i fantasmi 
Che stringonla ancor: 

cCessale dai caftni; 
Non ditelo sposo : 
No, padre, non darmi 
AH'uomo stranier. 

«Sul volto all'esoso, 
Nell'aspro linguaggio 
Ravvisa la sordida 
Prontezza al servaggio, 
LMgnavia, la boria 
Delraustro guerrier. 

cRammenta chi fe desso, 
L' Italia, gli affanni; 
Non niescec Poppresso 
Col sangue oppressor. 

• Fra i servi e fTiranni 
Sia Tira il sol pat to. — 
A pascersi d'odio 
Que' perfldi han tratto 
Fin Talme pid vergini 
Create air amor, t — Dgt 



— 98 *— 

E sciolta le chiome, 
Riversa net letto, 
Da in piantt aiocome 
Chi speme aoti ha. 

Serrate sul petto 
Le trepide bractiia, 
Di nozze querelasi 
Che niun le miaaooia, 
Paventa tniserie 
Che Dio non le di. 

Tapina I V altare* 
L'anello 6 svanito; 
Ma inoaosi le pare 
Quel ceffo tattqr. 

Ha bianco il vestita : 
Ha il mirto al cijniero; 

I fianchi gli fasciano 

II giallo ed U nero, 
Colori eseorabili 

A un ttalo cor. 



IL TROVATORE 

ROVANZA 

Ya per la sglva bmna 
Solingo il TrOvator 
Domato dal rigor 
Delia fortuoa, 

La faccia sua >sl bella 
La disfiorfc M dolor; 
La voce del catuw 

Noa 6 pid quella. 

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— 03 — 

Ardea nel suo segreto; 
E i voti, i lai, 1' ardor 
Alia canzon d'amor 
Pid6 indiscrete. 

Dal talamo inaecesso 
Udillo il sua signor : 
L' improvido cantar 

Tr»dl s£ stesso. — 

Pei dl del giovinetto 
Trem6 alia donna il cor, 
Ignara firw> allor 

Di tanto afifetto. 

E supplice al geloso, 
Ne contenea il foror : 
Bella del proprio onor 
Piacque alio sposo. 

Rise l'iogewa, Blando 
I/accarezz6 il sigaor; 
Ma U giovja Trovator 

Cacciato k in b&ndp. 

De'cari occhi fatali 
PKi doq vedri il fulgor; 
Non beri pifi da lor 

L'obblio de'mali t 

Y*rc& quegli ^tri mitfo 
Ch'ei rallegrava ognor 
Cogl'inni del valor, 
Col suo liuto. 

Seese — varc6 le porte — 
Stette — gaar4olle ancor:, 
E gli scoppiava il cor 

Come per morte, — 



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— 94 — 

Venne alia selva bruna: 
Quivi erra il Trovator, 
Fuggendo ogni chiaror 
Fuor che la luua. 

La guancia sua si bella 
Pid non somiglia un fior ; 
La voce del cantor 

- Nod b pid quella. 



GIULIA 

ROMANZA 



La legge 6 bandita; la squilla s'fc intesa. 
£ il di dei coscritti.— Venuti alia chiesa, 
Fan cerchio , ed un' urna sta in mezzo di lor. 
Son sette i garzoni riehiesti al comune ; 
Son poste neirurna le sette fortune; 
Ciascun vi s'accosta col tremito in cor.— 

Ma tutti d' Italia non son cittadini? 
Perchfe, se il nemico minaccia ai confini, 
Non vanno bramosi la patria a salvar? 
Non e pid la patria che all'armi li appella: 
Son servi a un* gente di strania favella, 
Sottesso le verghe chiamati a stentar. 

Che vuol questa turba nel lempio si spessa? 
Quest* altra che anela, che air atrio fa pressa 
Dolente r che l'occhio pifr lunge non va? 
Vuol forse i fraielli strappar dal periglio? 
Ai brancli, alle ronche dar tutti di piglio? 
Scacciar lo straniero? gridar liberti? 

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— 95 — 

Aravan sul monte ; sent it o han la squilla ; 
Sod corsi alia strada; sod scesi alia villa, 
Siccbme faociulli traeoti al romor. 
Che voglioD? del gioroo raccoglier gli eveuti, 
Atlendere ai detti, spiare i lameDti, 
Parlarae il domaoi seoz'ira o dolor. — 

Ma saDgue, ma vita dod k nel lor petto? 
Del giogo tedesco dod v'arde il dispetto? 

. Nol puDge vergogoa del taDto patir? — 
Sudanti alia gleba d'ioetti signori, 
N'hao tolto l'esempio: oe' trepidi cuori 
HaD detto: Che giovaf siam oati aservir.— 

GH stoltil... Ma i padri ? — S' accorao peososi, 
S'iDoltraa cercaDdo con guardi pietosi 
Le nuore, le mogli piaogeDti all' altar. 
Sa i figli ridesti coir alba primiera 
Si disser beate. Chi sa se la sera 
Su i soooi de' figli potranoo esultar? — 

E meutre che il volgo s'avvolta e bisbiglia, 
Chi fia quest' immota che a Diuo rassomiglia , 
Nfc sai se pift sdegoo la vioca o pieU? 

• Nod bassa mai '1 tolto , nol chiude Del velo , 
Noaparla, dod piaoge, dod guarda che incielo, 
Nod sceroe, dod cura chi iDtoroo le sta. 

£ Giutia, fe una madre. Due figli ha cresciuto; 
Iudaroo! 1'ud d'essi gi&'l chiama perduto: 
£ 1'esul che sempre 1*6 fisso Del cor. 
Perid trafugato per valli deserte; 
Si tolse d' Italia Del dl che l'inerte 
Di sfc, de'suoi fati fu vista miuor. 

Che addio lagrimoso per Giulia fu quello! 
Ed or si tormeuta dell'altro fratello: 
Chfc ud volger dall'urua rapire gliel pu6. 
E Carlo de' sgherri so£correr le file ! 
Vestirsi la biauca divisa del vile! 
Fibbiarsi una spada ehe l'Austro aguzzd! 

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— 96 — 

Via, via, coo Fiqgegao del dool la tapina 
Travalica il tempo, ya incoDtro iodovina 
Ai raggi d'un giorno che nato dob A 5 
Tien dietro a un dangle di tromba gaerriere, 
Pon I'orme su no campo % si abbatte in iaohiere 
Che alacri dell'Alpi discendoia al pi 6. 

Ed ecco altre insegne con altri guorrieri, 
Che sboccano al piano per altri sentieri, 
Che il yarco ai vegnenti son carai a tagtiar. 
Li gridaoo: Italia 1 Redimer l'oppressal 
Qui giuran protervi serbarla sommessa; 
L'un'oste su 1'altra sgualna l'acciar. 

Da ritta spronando si slancia on furente: 
Un sprona da roauca, lo assal col fendeate, 
N6 svia da sfc il oolpo oho al petto gli vien. 
BestemmiaD ferjti, Che gestU che voci! 
La misera guarda, ravvisa i feroci: 
Son quei che alia vita porl6 nel auo aeo. 

Ahi! ratto dall'ansie del campo abborrito 
S'arretra il materno pen*iero atterrito, 
Ricade pift a$siduo Ira Yww del di. 
Pill rapido il sangue ne'polsi a lei batte; 
Le schede fa tali dall'urpa son iratte. 
Qual mai sara quetia ehe Cark> sorti? 

Di man de'garjoni le tessere ad una, • 
Ne scruta un severe la varia fprtuna, 
Determina i sette che I'urna danp6. 
Susurro pju iptorno, parola non 3' ode: 
Ch' ei aorga, e H popri 1* plebe gift gode: 
Gi4 l'avido orecchio 1'ipsuUa lev&, 

P Giulia reolipa gU attoqiti rai 
Sal figlio; lo gparda d'un gqar<U> che mai 
Con tan to d'amore su lui nop ristfc. 
Oh ango&cia I odeun poroe; - nop $ quelle dj Carlo; 
Un altro, ed un aUro;-r-noq $entechiamarlo. 
Rivelan gii il quipto; — po, C^rlo jwp fe. 

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— 97 — 

Proclainano il sesto; — raa 6 figlio d'altrui; 

£ un'altra la madre cbe piange per lui. 

Ah ! forse fa in vano che Giulia trem6. 
. Com' aura cbe fresca Fiofermo ravviva, 

Soave una voce dal cor le deriva 

Che grazia il suo prego su in cielo trfcvd. 

Le cresce la fede: nel sen la pressura 
Le allevia un sospiro : con men di paura 
La settima sorte sta Giulia ad udir. 
L'han detta ; - 6 il suo figlio ; - doman vergognato, 
A I cenno insolente d'estranio soldato, 
Con l'aquila in fronte vedrallo partir. 



ODE 

SCBITTA IN OCCASIONE DELLE 

RIVOLUZIONI DI MODENA E BOLOGNA 

scoppiate nel 1830 

ALL'ARMI! ALL7ARMII 

Su, Figli d' Italia ! su, in armil coraggio! 
II suolo qui 6 nostro: del nostro retaggio 
II turpe mercato finisce pei re. 
Un popol diviso per sette destini, 
la sette spezzato da sette confini, 
Si fonde in uri solo, piti servo non 6. 

Su, Italia! su, in armi! Venuto fc il tuo di! 
Dei re congiurati la tresca fi#l ) 

BBftCHBT. 

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— 98 — 

Dair Alpi alio Stretto fratelli siam tutti ! 
Su i limiti sotaiusi, su i troni disimtti 
Piaatiamo i comuni tre nostri color) 
11 verde, la apeme tant'anni pasciuta; 
11 rosso, la gioia d'averla comptuta: 
l\ bianco, la fede iraterna d'amor. 

Su, Italia! su, in armi! Yenuto b il tuo dlt 
Dei re congiurati la tresca fini ! 

Gii orgogli minuti via tutti all'obblio 1 
La gloria b de' forti. ->- Su , forti , per Dio , 
DalrAlpi alio Stretto, da questo a quel w 
Deposte le gare d'un secol disfatto, 
Gonfusi in un nome, legati.a un sol patto, 
Sommessi a noi soli giuriam di restar. 

Su, Italia! su, in armit Yenuto b il tuo dl! 
Dei re congiurati la tresca finl! 

Su, Italia novella! su, libera ed una! 
Mai abbia chi a vasta, secura fortuna 
L'^ngostra prepone d'anguste citta ! 
Sien tutte le fide d'un solo stendardo! 
Su , tutti da tutte ! Mai abbia il codardo , 
L'inetto che sogna parzial liberty ! 

Su, Italia! su, in armi! Yenuto b il tuo dl! 
Dei re congiurati la tresca finl! 

Yoi chiusi ne' borghi , voi sparsi alia villa, 
Udite le trombe, sentite la squilla 
Che air armi vi chiama dal vostro Comun! 
Fratelli, a' fratelli correte in aiuto! 
Gridate al Tedesco che guarda sparuto: 
L' Italia i concorde; non serve a nessun. 



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POESIE 

DI 

AUTORI DIVERSI 



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JtlARZO fSSf . 



Soffermati sull'arida sponda, 
Volti i sguardi al varcato Ticino, 
Tutti assorti nel novo destino, 
Certi in cor dell'antica virtii, 
Han giurato : Non fla che Cfu^est'onda 
Scorra pit fra due rive straniere; 
Non fia loco ove sorgan barriere 
Tra 1' Italia e r Italia, mai piu! 

I/han giurato: altri forti a quel giuro 
Rispondean da fraterne contrade, 
Affllando nell'ombra le spade 
Che or levate scintillano al sol. 
Gi& le desire hanno strette le destre; 
Gia le sacre parole son porte: 
compagni sul letto di morte, 
fratelli su lib6ro suol. 

Chi potrk della gemina Dora, 
Delia Bormida al Tanaro sposa, 
Del Ticino e dell'Orba selvosa 
Scerner Tonde confuse nel Po; 
Chi stornargli del rapido Mella 
E dell'Oglio le miste correnti, 
Chi ritogliergli i mille torrenti 
Che la foce dell' Adda vers6, 



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— 102 — 

Quello ancora una gente risorta 
Potri scindere in volghi spregiali, 
E a ritroso degli anni e dei fati, 
Risospingerla ai prischi dolor; 
Una gente che libera tulta, 
fia serva tra l'Alpe ed it mare; 
Una d'arote, di lingua, d'altare, 
Di memorie, di sangue B di cor. 

Con quel volto sfldato e dimesso, 
Con quel guardo atterrato ed incerto, 
Con che stassi un mendico sofferto 
Per mercede nel suolo stranier, 
Star doveva in stia terra il Lombai'do ; 
L'altrui voglia era legge per lui; 
II suo fato, un segreto d'altrui; 
La sua parte, servire e tacer. 

stranieri, nel proprio retaggio 
Torna Italia, e il suo suolo riprende; 
stranieri, *trappate le tende 
Da una terra che madre non v'b. 
Non vedete che tutta si scote 
Dal Cenisio alia balza di Scilla? 
Non sentite che infida vacilla 
Sotto il peso de'barbari pte? 

stranieri 1 sui vostri stendardi, 
Sta 1'obbrobrio d'nn giuro tradito; 
Un giudizio da voi proferito 
V'accompagna all'iniqua tenzon; 
Yoi che a stormo gridaste in quei gioroi 
Dio rigetta la forza slraniera; 
Ogni genjle sia libejra, e pera 
Delia spada Tiniqua ragion. 

Se la terra ove oppressi gemeste 
Preme i corpi dei vostri oppressori, 
Se la faccia d'estranei signori 
Tanto amara vi parve in quei di; 

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— 103 — 

Chi v'ha detlo che sterile, eterno 
Saria'l lotto dell'itale genti? 
Chi v'ha detto che ai nostri lamentt 
Sarift sordo qael Dio ohe v'udl? 

Si* qael Dio che nell' onda vermiglia 
Chiuse il rio che inseguiva Israele, 
Quel che in pugno alia maschia Giaele 
Pose il maglio, $d il colpo gaidd; 
Quel che ft Padre di tutte le genti, 
Che non disse alQermano giammai: 
Va, raccogli ove arato non hai ; 
Spiega Pugne, V Italia ti do. 

Cara Italia f dovanqufe ft dbfente 
Grido uscl del tuo lnngo servaggio, 
Dove ancor dell'mnano lignaggio 
Ogni sj>eme deserta non fe, 
Dove gii libertade 6 fiorita, 
Dove ancor nei segreto matura, 
Dove ha lacrime un'alta sventura, 
Non c'& cor che non batta per te. 

Quante volte sull'Alpe spiasti 
V apparir d' un amico stendardo ! 
Quante volte intendesti lo sguardo 
Ne* deserti del duplice mar 1 
Ecco alfin da} tuo seno sboccati, 
Stretti intorno a' tuoi santi colori, 
Forti, armati de' propri dolori, 

I tuoi figli son sorti a pugnar* 

Oggi, o forti, sui volti baleni 

II furor delle menti segrete : 
Per F Italia si pugna, vincete ! 
II suo fato sui brandi vi sta. 
risorta per voi la vedremo 
Al convilo de'popoli assisa, 

pid serva, pm vil, pjft derisa 
Sotto l'orrida verga stari. 

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— 104 — 

Oh giornate del nostro riscatto ! 
Oh dolente per sempre coloi 
Che da lunge, dal labbro d'altrui, 
Come un uomo slraniero, le udra! . 
Che a' suoj figli narrandole un giorno, 
Dovr& dir sospirando : io non v' era ; 
Che la santa vittrice bandiera 
Salutata quel dl non avri. 

ALES8ANDR0 MANZONI. 



IL PROCLAMA DI RIMINI 

FRAMMENTO 01 CANZONE 

APRILE, 1815. 

delle imprese alia piu degna accinto, 
Signor cne la parola hai proferita, 
Che tante etadi indarno Italia attese; 
Ah I quando un braccio le teneano avvinto 
Genti che non vorrian toccarla unita, 
E da lor scissa la pascean d'offese; 
E Tingorde udivara lunghe contese 
Dei re tutti anelanti a farle oltraggio; 
In te soluno un raggio 
Di nostra speme ancor vivea, pensando 
Ch'era in Italia un suol senza semggio, 
Ch'ivi slegato ancor vegliava un brando. 
Sonava intanto d'ogni parte un grido, 
Libert* delle genti, e gloria e pace! 
Ed aperto d'Europa era il convito; 
E questa donna di cotanto lido, 
Questa antica, gentil, donna pugnace 
Degna non la tenean dell'alte invito: 

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— 105 — 

Essa in disparle, e posto al labbro il ditfr, 

Dovea il fato aspettar dal suo nemico. 

Come siede il mendico 

Alia porta del ricco in sulla via ; 

Alcun npn passa die lo chiami amico, 

E non gli far dispetto b cortesfa. 

Forse infecondo di tal madre or langae 

II glorioso fianco? o forse ch'ella 

Del latte antico oggi le vene ha scarse? 

figli or nutre, a cui per essa il sangue 

Donar sia greve? o tali a cui piu bella 

Pugna sembri tra loro ingiuria fcrse? 

Stolta bestemmiai eran le forze sparse, 

E non le voglie; e quasi in ogni petto 

Viveva questo concetto:* 

Liberi non sarem se non siamo uni; 

Ai men forti di noi gregge dispetto 

Fin che non sorga un uom che ci raduni. 

Egli fe sorto, per Dio I SI, per Colui 
Che nn di trascelse il giovinetto ebreo 
Che del fratello il percussor percosse; 
E fattol dace e salvator de' sui, 
Degli avari ladron sul capo reo 
L'ardna furia soffi6 dell'onde rosse; 
Per quel Dio che talora a stranie posse, 
Certo in pena, il valor (Fun popol trade; 
Ma che Tinique spade 

Frange una volta, e gli oppressor confonde; 
E all' uom che pugna per le sue contrade 
L'ira e la gioia de' perigli infonde. 

Con Lui, signor, delTitala fortuna 
Le sparse verghe raccorrai da terra, 
E un fascio ne farai nella tua mano 



ALKSSA^DRO H^NZONI 

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ALL AniVO 1881 

ode 

t Magnus ab integro saecoloram nascitur ordo. 

Su brandisci la iaincia di guerra, 
Squassa in fronte quell' elmo piumato, 
Scendi in campo ministro det fato, 
Oh quai cose s'aspettan da let 

Nel cammino che'l tempo ti segna 
Ogni passo sia traccia profonda, 
Per le genti memoria gioconda, 
Himembranza tremenda pei re. 

Oh se compi quell' opra sublime, 
Onde il fato ministro t'ha fatto* 

L'ANNO GRANDE DEL SA€RO R1SGATTO 

II tuo nome ne' fasti sar&t 

Glor'ioso per lauri mietuti, 
Ammirato pel* fulgidi rai, 
Benedetto fra gli anni sarai 
Dalla voce di tutte Feti. 

Tua foriera Famana ragione 
A gran passi ricerca la meta; 
Anche in Austria s'aggira segreta, 
Fino in Russia la strada s' aprl ; 

E scotendo F eterna sua face 
Mentre passa ripete sovente : . 
«Sorgi, sorgi, mortale languente, 
Io son F alba del nuovo tuo dll» 

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— f(tf — 

A que' detti die Peco diffonde, 
In gran cerchio la Gallia gii spazia, 
Ed Elvezia, Bftbatite, Sarmazia, 
G\h gareggiah di patrio Valor: 

E quei detti son soffi di Noto 
NellMncendio di vampe frementi, 
E son vampe le fervide genti 
Agitate da santo furor. 

Dalle cime dell'Alpi nevose 
Alia vetta dell* Etna fiamfflahte 
Ella passa e ripassa gigante, 
AH' Italia paflando cosl: 
cCingi l'elmo, la mitra deponi* 

vetusta signora del mondo ; 
Sorgi f sorgi dal sonno profondo, 
Io son 1' alba del nuovo tuo dl! 

tLMperborea nemica grifagna 
Che due rostri ti flgge nel seno, 
La cui fame non venne mai metio, 
Ma col pasto si rese maggior, 

cTi divora, ti lania, ti sbrana, 
N6 tu scuoti Tinerzia funesta? 
E non tronchi la gemina testa, 
In un moto di giusto furor? 

cDove sono, domanda taluno, 

1 nepoti de'Fabi, de' Bruti? — 
Son quei greggi di schiavi battuti, 
Rispondendo tat altro gli va. 

t — Non in altro che in pietre spezeate 
Pud moslrarci 1' Italia gli eroi?... 
Cosi chiede ridendo fra i suoi, 
Fin quel vile che vile ti fa. 

tRingoiate, beffardi superbi, 
Quel veleno che'l labbro vi tinse; 
In quell' uno che tutti vi vinse 
I suoi figli T Italia mostr6. 

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— 108 — 

c Quel tremendo gigante di guerra 
Obbliaste che nacque sua prole? 
Fu scintilla dell'italo sole 
La grand' alma che il mondo abbagli6. 

cLa sua possa fra gli urti nemici 
Fu tra i venti saldissima balza; 
Come cedro sui rovi s'innalza, 
Ei s'ergea sul volgo dei re. 

c Di sua mano nel libro de' fati 
Ei segnava la pace e la guerra ; 
Quei tiranni che opprimon la terra 
Stavan tutti tremanti al suo pife. 

t Tramontata la viva sua luce, 
Si rierser daU'imo lor fondo, 
Come T ombre risorgon sul mondo 
Quando il sole dal mondo spar), 
c Ombre nere di nordica notte, 
Sulla terra del sole addensate, 
Ombre nere, svanite, sgombrate, 
Io son l'alba del nuovo suo dll> 

Cosl dice, la face scotendo, 
La foriera del giorno di pace, 
E, agitata, raddoppia la face, 
Quasi conscia, Peterno splendor. 
Incalzate quell' ombre funeste, 
Rarefatte gia vagan d'intorno: 
Airannunzio del prossimo giorno 
Scuole Italia l'indegno torpor. 

«Arme,» grida Sdbaudia guerriera, 
«Arme, » grida Taudace Liguria, 
E l'lnsubria, 1' Emilia, I'Etruria 
A quei gridi brandiscon l'acciar. 
Dalla cima dell' Etna fiammante 
Alle vette dell'Alpi nevose 
Giuran tutte le genti animose 
La nemica grifagna snidar.* 



— 109 — 

Scellerati, cfae sangue versate, 
Fin punendo speranza e desio, 
Dall'ampolla dell'ira di Dio 
Ribollendo quel sangue fum6. 
Gli esalati vapori squallenti 
Muti muti si strinsero in nembo; 
So ch'ei cova le folgori in grembo, 
Per quai fronti le covi, non so. 

Alma, terra, feconda d' eroi, 
Avvilita da cieco destino, 
Calpestato saturnio giardino, 
Fia cangiata la sorte per te. 

Spezzerete le vostre catene, 
fratelli che in ceppi languite, 
fratelli che il giogo soffrite, 
Calcberete quel giogo col pi&. 

Inspirato mio genio, deh tuona, 
Chft profeta l'Eterno ti ha fatto ; 
Di' che 1' anno del sacro riscatto 
Per T Italia gik Tali spieg6. 

Ma se pigra P Italia dormisse? 
Se ponesse nelP opra ritardo?.... 
Qui la voce dell' esule bardo 
Nel sospiro gemendo spird! 

GABRIELE ROSSETTI 



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LA VISIONE 



Oh <juai sogni mi rapper la calma 
Fra i silenzi dell* alba tranquilla! 
£ qaei sogni mi restan x&\Y alma 
Come cifre d' a&Uca sibilla; 
E s'aggir^p fra cifre si astruae, 
Le potenze deH'aljna confuse, 

Fra gli orrori di notte tacente 
Iva l'ombra d'iitforno fugando 
Una croce di ferro rovente, 
E la croce non era che un brando, 
Che al <50spetto di popoli aneli 
Viaggiava pei campi de'.cieli. 

Per quei campi migliaia di spettri 
Vagolavan fra turbini oscuri, 
E fra '1 cozzo di stili e di sceltri 
Strepitayaa timballi e tamburi ; 
E fra'l moto di stemmi e bandiere 
S'altcrnavm mioaccs e preghiere. 

Per Timmensa siderea contrada 
Gia quei suoni rombavan piu forte, 
Quando giunse la mistica spada, 
E fa tatto silenzio di morte. 
Ma nel mentre passava piu presta 
Una voce le disse: Tarresta! 

Ver T Italia la punta converse, 

Qaal cometa che allunghi la chioma; 
Quella punta di sangues' asperse, 
E quel sangue s til lava su Roma; 
Ed il Tebro bollendo fumava 
Qual Ves6vo ch'eruiti la lava. 

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- ill - 

E quel fumo per tutto si masce, 

L'ombra tetra rendapdo piu folia; 

E quel fumo s'accresce, s'accresce, 

Fincbft Roma n'fe Uitta aepolta; 

E due voci gridavan frattanto, 

Fra i singhiozzi, ,fca gli urli, fra'l pianto: 
Scellerata, quel tempo s'affeetta... 

S'avwcina, malvagia, quel giorno... -r- 

E vendetta, vendetta, vendetta, 

Altre voci gridavan d'intorno; 

Ed a cerchio gran popol di larve, 

Come in vasto teatro, m'apparve. 
Nelle file che m'erao davanti, 

Per distanza men fosche, men brune, 

Riconobbi due soli fra tanti, 

Quai colossi fra sente comune, 

Di Pistoia l'eccelso pastore, 

E di Flora l'eteroo cantore. 
Ma la spada che ha forma di croce 

Yien su Roma: n'esultan quei morti; 

E pid forte la disse la voce : 

Qual bilancia ne pesa le sorti; 

E ad un t rat to, lontano, lontano, 

Ricomparve la vindice mano. 
J5 la spad^che prima drizzata 

Vlaggiava pei ceruli campi, 

In bilancia fu tosto cangiata 

Sul cui fulcro strisciavano i lampi; 

•E la mano che a s tender si venue 

La bilancia pel fulcro sostenne. 
Ondeggiavan le coppe malcerte 

Ai due lati sospese nell'aria, 

Ed entrambe m'apparver coperte 

Di due tinte di tempra contraria; 

Bianca 1'una qual neve si fece, 

L'altra nera dfa vincer la pece. 

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— 112 — 

E la bianca neU'aria sorgendo 
Si nascose fra nobe fiammante, 
E la nera con crdllo tremendo 
Piu del piombo discese pesante: 
A quel crollo che l'aria percosse 
Roma tutta gemendo si scosse. 

E vedevo le torn, i palagi 
Come canne ch'ondeggiano ai venii; 
E sentivo di giusti e malvagi 
Meste preci, bestemmie frementi ; 
Poi sui campi coperti di fiori 
Surse I'arco dai sette colori. 

Vagheggiando quest' ultimo augurio 
Presagisco futuro pid mite, 
Ed uscendo daU'umil tugurio 
Bisaluto le piagge fiorite. 
Pria ch'io goda del chiaro mattino 
Sulle soglie devoto m'inchino. 

Tra i profumi di fiori novelli 
Deh ti mesci, mia prece sincera! 
Chi sa quanti dolenti fratelli 
Stan facendo la stessa preghiera ) 
Ma del voti dell'anime fide 
La nemica d' Italia si ride. 



GABRlBtK ROSSETTI 



MORTE O LIBERTA! 



Minaccioso Varcangel di guerra 
Gi& passeggia per l'itala terra; 
Lo precede la bellica tromba 
Che dal sonno Y Italia sveglid; 
L'Apennino per lungo rimbomba, 
E'dal Liri va J'eco sul Po. 



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— 113 — 

Tutta V Italia pare 
Rimescolato mare; 
£ voce va tooando 
Per campi e per citti: 
Giuriam, giuriam sal brando 
morte o liberti! 

Qua Trinacria che all'ire s ? i desta 
Mise grido di raaca tempesta; 
Le tre punte del Delta fer eco, 
Per tre valli queH'eco muggl; 
Ton6 l'Etna dal concavo speco, 
Latr6 ScUla^ Cariddi ruggl. 

AH'arme, all'arme, b il grido 

Che va di lido in lido ; 

E l'eco replicando 

Di lido in lido va: 

Giuriam, giuriam sul brando 

morle o liberty 1 

Li dall'Alpe che serra Lamagna 
SuH'immensa lombarda campagna 
Simil grido que'detti ripete, ■ 
Simil eco queH'ire dest6: 
fratelli, sorgete, sorgete; 
Del riscatto gi& Tora suonil 

Se il centro ed ambo i lati 

Bnjlicheran d'armati, 

Chi affronter^ pugnando 

L'ltalica unit*? 

Giuriam, giuriam sul brando 

morte o liberty ! 

Ma qual plauso si leva dal centro! 
Oh qual plauso ) Nfe resta \h dentro : 
Come luono cui tuono rincalza, 
balen cui succede balen, 
Dai due lati nel centro rimbalza, 
E dal centro sui lati rivie&, , 

BfiftGHlT. S 

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- m - 

AI plauso che pid cwce 
Questa canzon si mesce, 

I petii infervorando 
Di patria caritfc: 
Giuriam, giuriam sul brando 
morte o liberty 1 

cSiam fratelli, » ael centro risuona, 
cSiam fratelli,! nei lati rintrona: 
E g\k questi s'ahbracciau con qvLelli, 
Dai tre lati godendo ridir: 
tSiam fratelli, fratelli, fratelli, » 
E i confini per tutto sparlr. 
Ardir, fratelli, 6 giunto 

II sospirato punto; 

Se passa, ah! cbi sa quando 
Di nuovo ei torneri? 
Giuriam, giuriam sul brando 
morte o libertil 

Questo fuoco che all'alme s'apprende 
E le io?ade, le scuote, le acceaae, 
Questo fuoco, fratelli, ri sveli 
Che lerrestre di lempra non 6: 
Ah! discese dall'ara ae'cieli 
La scintilla che incendio si fe'i. 
Da quell' altar discese 

Che iuflamma; a saute imprese, , 

E i cttori iofervorando 

Tutti sclamar ci fa : 

Giuriata, giuriam sul braudo 

morte o, liberta! 

Sette Siri ci colman di mali 
Pari ai sette peccatt mortali, 
Pari ai capi deU'Idra Lernea 
Gui d'Alcide la clava mietfe: 
Trisli Gapi (Fun'ldra pi* rea, 
Nuovo Alcide lontano non 6. 



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— H5 — 

Qiianti'la patri* ha fidi 
Tanti saran gli Alcidi : 
Deh ) un giorno memoranda 
Cangi una lunga eti: 
Giuriatn, giflriam sul brando 
morle o liber ta. 

Ci divise perfldia e scragura, 
Ma congiunti ci voile natura: 
Alma Diva, cui l'Alpe corona 
Fra gli amplessi di duplice mar, 
Una lingua sill labbro ti suona, 
Un sol culto ti sacra l'altar. 
jChi in sette ti partlo 

Tradl l'idea di Dio, 

E'l mostro abbomioando 

U flo ne paghcr* : 

Giuriam, giuriam sol brando 

morte o liberty. 

Mascherata malizia chercuta 
T'ha divisa, tradita, venduta; 
De'tuoi figli fe' crudo governo 
Quell'avara malizia crudel, 
Turpe furia sbacata d'Averno, 
Che si disse discesa dal Ciel. 
S'ella mantenoQ in vita 
Quell'Idra imbaldanzita, 
E Tuna e l'allra in bando 
Da queslo buo! n'andrk: . 
Giuriam, giuriam sul brando 
morte o liberty. 

Cada, cada Tanfibia poteiiza 
Ch'ft de'mali feconda semenza, 
E la legge del Verbo di Dio, 
Ch'ell'appanna di nebbia d'error, 
Radiante del lume oatlp 
Rimarili la mente col cor. 



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*- 116 — 

Finch6 quel serv6 culto 
Ch'all'uom, ch'a Dio fa insulto, 
Dal sozzo altar nefando 
A terra non cadra, 
Giuriam, giuriam sal brando 
morte o libertiu 

Divo fonte del culto piii bello 
Che quell'empia converse in flagello, 
Tu ch'ispiri si nobile impresa, 
Scodo e spada d' Italia sii.tu, 
Saldo scudo di giusta difesa, 
Forte spada di patria virtiu 

Odi una madre oppressa, 

Ve'i figli intorno ad essa, 

Che fremono gridando 

Di sdegno e di pieta: 

Giuriam, giuriam sul brando 

morte o liber ta! 

G. ROSSETTI. 



ODE 

•alia creJnta morte nello ftptelfcer* 41 »lltlo relllco. 

Luna, romito, aereo, 
Tranquillo astro d'argento, 
Come una vela Candida 
Navighi il firmamento; 
Come una dolce arnica 
In tua camera antica 
Segui la terra in ciel. 

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— 447- 

La terra, a cui se il limpido 
Tuo disco s'avviciaa, 
Ti sente, e con un palpito 
Gonfia la sua marina: 
Forse b gentile affetto, 
Qual de*ta in uman $>etto 
£a Yista d'un fedel. 

Simile al fior di Clizia 
(Fiso del sol nel raggio 
L'occbio), il pensier del miser© 
Ti segue in tuo Ylaggio, 
E la tua luce pura 
Sembra su la sventura 
Un raggio di pie til 

Ahi misero tra miseri, 
Tolto al gioir del mondo 
Geme l'afflitto Sihio 
Dello Spielbergo in fondo I 
Speme non ha d'alta; 
vi?e, ma d'una vita 
Di chi doman morri. 

Batte il tuo raggio tremulo 
Al rio castello, o luna, 
E scintillando penetra 
Sotto la vOIta bruna, 
E trova il viso bianco 
Del giovinetto stanco, 
II ?iso del dolor. 

Sol quella faccia pallida 
In campo nero appare, 
Come languente cereo 
In mortuario altare; 
qual da mano cara 
Sul panno della bara 
Deposto un bianco fior. 

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Sol tra ■ catene — • (libeft) * ■ 

Nell'agonia crescitito) — 
! Sovra la fronte squallida 

Discende e va perduto, 

Snll'affannoso petto, 

Sol doloroso latte, 

In mezzo all'ombra, il crin. 

Scarso b'\ cangiar ieHV afire 
Che in petto gli respira; 
Attorno al fianco tin duplice 
Cercbio «li ferro il gira, 
In ceppi fe la sua mano, 
Nft alcuD eor-sorzlo umano 
LenlUce il 'suo dolor. 

Ma queata notte * l'uHbta, 
Notte, per hii, di diiolo; 
II traY&gliato spirtto 
Stamper levarsi a volo; 
E in si fatal momento 
In torbo anolgilnento 
flteotafio i gfloi peosier! 

t~Quando Plnesorablle 
.« Parola udii, *en*' anki ! 
• Non io credei sorvivere 
«A tanta ora d'affanai; 
«E il duol che m' ha consunto, 
c It termine raggiunto 
cDel.mio soffrire ha gia. 

c Ec£o, redento ai palpiti 
t Del sen paterno io sono ! 
t Le notftre piagbe il balsamo 
cAsttrga del perdono, 
t Or che \& man pietosa 
t Soavemente posa 
tQui del tuo figlio in sen. 

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tTu mel dice?i — (trepida 
Del mio bollenie ingegno), — 

€ Dl CHI E Plti FORTE, SlLVIO, 
€ NON PROVOGAR LO SDEGNO ! 

tMa b«Ua e splendid' era 
t Coma la nuhi a sera 
cLa mia speranza allor. 

t ia 



;a 



tMa tu, chi sei, che barbaro 
tlnsulti al mio dolore, 
«Ed osi il sogno irridere 
t Che mi mentla nel core? 
• Coprimi, o madre, il viso! 
« Che quel superb© riao 
«Non veggasi per me. — » 

Pace, o moreate! — agl'Itali 
La tua memoria 6 pianto. 
Caggia qael dl dai secoli, 
Qael dl che Italia al santo 
Cenere tuo non plori, 
N6 la memoria ooori 
Di chi per lei morl. 

Ma gii la luna in candido 
Mattin, lene si solve; 
(E mentre lene il misero 
Gii in morte si dissolve)^ 
Bella del suo martiro 
In placido deliro 
Ultima al .giusto mc\. 



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— «0« 



Ventoero allor . . . . disciolsero 
L'inanimata spoglia: 
Del career la deposero 
Sptto l'ignada soglia. 
Nefando monumento, 
Delia catena il lento 
Node... vi posa su. 

E alcuD nol seppet... e Silvio 
£ d'ogni giorno e d'ogni 
Ora il petfsiero!... e Silvio 
Son d'ogfti notte i sognit... 
E anoor s'attende il canto 
Che piacque a Italia tantot... 
Ma Silvio non h piiill! 

Giumo Bazzoni. 



60RRENDO IL SK> ANNIVEBSARIO 

FRATELLI^BANDIERA 

B DM LORO OOMPAOKI DI VARTIRIO 

in Cosenzd il 25 luglio 1844. 

fit sit memoria eoram in bene* 
dictlone, et ossa eorom pnUa* 
lent in loco sno. 

Tentai piu volte un cantico 
Come un sospir d'amore 
A voi sacrar; ma un fremito 
D'ira stringeami il core, 
Ma soffocava il pianto 

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Salle mie labbra il canto, 
£ non ardl il mio g$nio 
Sui venerandi avelli 
Dei marliri fratelli 
Voce di sehiavo algar. 

L'inno dei forti ai forti, v 

Quando sarem risorti 

Sol vi potrem nomar. 
Come raccolta e trepida 
Presso T altar fatale 
Nella citte dei secoli 
La vergine vestale < 
Sul sacro fuoco intesa , 
Noi pur la fiamma accesa 
Dal vostro sangue , vigil* 
Nel nostro duol spiammo , 
Pensaodo a vol sperammo , 
Trovammo in voi la ft 

Quando dicean che solo 

In sorte l'onta, il duolo 

A noi T eterno dj6. 
E or fra il desio, fra l^nsia (i) 
Che dei credenti in pelto 
Nuova speranza suscita , 
Or che ogni grande afietto 
Parla potente al core , 
L* Italico cantore 
Di nuova luce splendida 
Sente nel sen presago 
La vostra santa imago, 
E del suo carme il vol, 

Spiega per voi le piume, 

Qual di cometa il lume • 

Torna al palerno sol. 
Ch6 fra i codardi, lurido 
Vidi destarsi un riso, 
E dei tiranni a un'empia 
Gioia atteggkrsi il viso, 
Mentre una grande idea 

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La fronte lor cmgea 

Di viva luce, d martiri 

Delia sua fede in cielo , 

Sgombri del mortal ?elo 

Dal suo cruento altar 
Di degno incense fcrmo, 
Di degno. fior proftimo 
L'anima a Lei mandar. 
Co indistinto fremito (g) 

Infra l'ausonie genti 

Errar parea, commuovere 

I popoli dormenti ; 

Pareva giunta V ora 

Delia promessa aurora .... 

Ma chi fia quei che scendere 

Osi nel grande agotte, 

Delia fatal tenzone 

Primo il vessillo altar ? 
Mogagliardir gl'igoavi, 
Da popolo di schlafi, 
Nell 1 awenir lanciar? 
Altri desia, ma debole 

Teme, e Voler non osa, 

Altri al materno genrito, 

Alia plorante sposa 

PteU codarda ostenta; 

Tal cui 1' osar sgomenta , 

Vilmente pio , to Patria 

Al cieco caso affida, (3) 

Nel proprio fango grida 

Sola virtb dormir; 
E con sfcperbe fole 
Delia ro&uleaf prole 
Tenta ingannar V ardir. 
Stolti , o vedduti — credono 

Guidar tremando i fall 9 

Che il lor terrore adorino 

I popdli prostrati; 

Delia ViHJ> profeti, 

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— 133 — 

Sui fremiti secrcti 
Che ramrenir raccbindono 
Spargon blandizie e oblio, 
Dicon, mentendo Iddio, 
Empio chi tenta oprar ; 
Come se in ciel 1' eterno 
Avesse sol goverao 
Di chi sa sol tremar. 
Silenzio, emmcbi! — II garralo 
Bisbiglia, almen quest' ora 
Tema turbare.:.. — Un angeio 
D* amore e speme infiora , 
Noi d'un fecondo pianto, 
D'un generoso canto 
Sacriam 1' avel dei martiri , 
Raccolti all'urne a lato 
Noi vi cercbiamo il fato, 
La fede ed il ralor. 
Muore il profeta, dura 
L' Idea, nel duol matura, 
Si fa pii sacra ancor. . 
Qui presso aH* ossa, o giovani 
Che all'avvenir Yirete, 
La sanguioosa pagina 
Qui del dover leggete* 
gelidi vegliardi, . 
Si fa par voi gii tardi, 
Fra pochi gLorni in braccio 
Al fatal nulla andrete ; 
Ahi pin per poco avete 
La vita da offerir. 
Qui tutti — a questa scola 
Chiediam la gran parola* 
La scienza del morir. 
Oggi ha due anni — videro (4) 
Pregar la madre accanto 
V ultima volta i figli, 
JE una gentil die il pianto 
Per non scorarli tenne, 

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- — IS4 — 

E il mesto addio sostenne 
Senz' arrestarli — martire 
In.pochi *dl la pia 
Vinta dal duol moria 
Di liberta e d' amor. (5) 

Voi che sui cor regnate, 

S' ama cosl — gittate 

Sovra quest* urna un fior 

Soli quei prodi scesero 
— Onta ai fraiellil — in campo 
Qual la diffusa* tenebra 
Rompe solingo un lampo ; 
Ma anche in quel giorno amiro, 
Credettero , speraro , 
Mortr gridando Italia, 
Piangendo sui perdati, 
Pregandb pei caduti, 
Pensando airavvenir. (6) 

Col sangue del Divijio . 

Trafitto,' un cherubino 
w Raccolse quei sospir, 
Lo serba nel gran ealice 
Col fremito dei forti , 
Col sangue delle vittime, 
Dei santi che son morti 
Pel vero, pei fratelli, 
Ai preti, ai re ribelli — 
Nell' ora del giudicio , 
Saetta pei potenti, 
Rugiada pei credenti, 
Sui mondo il verserk. 

Nel nome dei Bandiera 

Lo giuro — la grand' Era 

Promessa arriverfc. 

. . . 1846 

GOFFREDO MAMEL1 

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— 425 — 



mrE 



(1) Questi versi furono scritti in tempo che la re- 
cente mal compressa insurrezione in Gallizia, cogli as- 
sassinj e r imminente movimento svizzero davano 
luogo a speranze, in parte non totalmente deluse (dura 
il fermento in Polonia) in parte confermate. 

(2) II fermento insuf rezionale in Italia — mi scriveva 
Attilio Bandiera — dura , se debbo credere alle voci 
che corrono tuttavia; e pensando che potrebbe ben 
essere Paurora del gran giorno di nostra liberazione. 
mi pare che ad ogm buon patriotta corra Tobbligo di 
cooperarvi per quanto gli e possibile. Vi hanno invece 
tali che agognano al monopolio dcir italico avvenire, 
autori di speranze disperate che dicono che miglior 
mezzo di liberar r Italia e di far delle corse pei montr 
della Savoia, e davvero che le persone di giudizio tro- 
veranno la loro tattica miglior e di quella dei Bandiera. 
Alia fin fine coprendosi bene, non vi e neanche il rischio 
d' an 1 infreddattura. 



(3) Si allude ai provvidenzialisti. 

(4) II , *--<•--*--- 



governo Austriaco, impaurito dal fermento che 
lapartenza dei due Bandiera aveva desto nella sua 
flotta, temendo le virtu dell' esempio, e piu d'ogni al- 
tra cosa la fiducia che la rivelazione di un elemento 
nazionale in mezzo alle forze nemiche darebbe ai ri- 
voluzionari Italiani, cercava modo perche il fatto ap- 
parisse piuttosto avventatezza di giovani traviati che 
proposito d' anime deliberate ; e tentava le vie pacifi- 
che. u L' arciduca Raineri (mi scriveva Attilio il 22 
aprile da Corfu) mandd uno de 1 suoi a mia madre a 
dirle che ove essa potesse di Corfu ricondurmi a Ve- 

nezia, ecc Mia madre crede, spera e giunse qui 

dove vi lascio considerare quali assalti, quali scene io 
debba sostenere. Invano io le dico che , ft dovere mi 
comanda di restar qui . . . . nd nessuna affezione mi 

I>otra staccare dall' msegna che ho abbracciata, e che 
e insegne di un re si aebbono abbandonare, quelle 
della patria non mai . . .» 

Mazzini, Ricordi sui fratelli Bandiera. 
(5) — u Come sosterranno questa rovina mia madre e 
mia moglie, creature dilicate incapaci forse di resistere 
a grandi dolori *» — Quand* egli (Attilio Bandiera) mi 
scriveva queste parole, sua moglie era morta. Ayver- 
tita da Emilio del progetto di fuga , avea, finche 1 e- 
sito rimanevasi dubbio, mantenuto il segreto e la forza 
d'animo necessaria a non tradire le inquietudini mor- 

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— M6 — 

tali che ropprimevano; poi, saputo in salvo il marito 
avea ceduto al dolore, donna rara ai dir di chi la co- 
nobbe, per core, per intelletto, per bellezza di forme. 

Mazzini, Opere cUate. 
(6) La mattina del giorno fatale furono trovati dor- 
a*ado, ecc. . . . un prete venne per confessarli , ma 
essi lo reapinsero doleemente , dicendogli : — « Che 
essi avendo^ praticato il vangolo, e cercato di propa- 
gaiio anche a prezzo del loro sangue fra i redenti da 
Cristo , speravano di essere raccomandati a Dio piu 
dalle loro opere che dalle sue parole, e lo esortavano 
a serbarle per predicare ai loro oppressi fratelli in 
Gesu la rengione della liberta e delia eguaglianza... » 
— Gridarono viva I'ltalia, e caddero morti. 

Mazzihi, Opere citate. 



INNO D* ITALIA 



Fratelli d* Italia, 
L' Italia s'& deska; . 
DeU'elmo di Scipio 
Sffc.cinta la testa; 
Dov'fe la vittoria? 
Le porga la chroma, 
Ghe schiava di Roma 
Iddio la ore6. 

Stringiamci a coorte, 
Siam prooti alia raorte, 
Italia chiamd. 



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-r 127 — _ 

Noi fammo da secoli 

Calpesti e derisi, 

Perchfe non siam popolo. 

Perchfe siam divisi; 

Raccolgaci un' unica 

Bandiera, una speme; 

Di fondecci insiame 

Gii I'ora suoad. 
Stringiamci, ecc 
Uniamoci, amiamocil 

L'unione e l'amore 

Rivelano ai popoli 

Le vie del Siffnore. 

Giuriamo far libero 

II suolo nalio; 

Uniti, per Dio ! 

Chi vincer ci pud? 
Stringiamci, ecc. 
Dair Alpe a Sicilia, 

Dovunque fe Legnano; 

Ogn'uom di Ferraccio 

Ha il cuore e la mano; 

I bimbi d' Italia 

Si chiaman Balilla; 

II suon d'ogni squilla 

I Vespri suond. 
Stringiamci, ece. 

Son giunchi che piegano 
Le spade vendute; 
Gii l'Aquila d' Austria 
Le penne ha per date; 

II sangue d' Italia 
Beyfe, col Gosacco 
II sangue Polacco, 
Ma il cor le brucid. 

Stringiamci, ecc. 

GOFFBEDO MAMEU 
1847 

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L' ULTIMA ORA DI VENEZIA 



£ fosco 1'aere, 
£ l'onda muta !... 
Ed io sul tacito 
Veron seduta, 
In solitaria 
Malinconia, 

Ti guardo, e lagrimo, 
Venezia miai 

Sui rottt nugoli 
Deir Occidente 
II raggio perdesi 
Del sol morente,. 
E mesto sibila, 
Per l'aura bruna, 
L' ultimo gemilo 
Delia laguna. 

Passa una gondola 
Delia cittk: 

— Ehit della gondola, 
Qaal novite? 

— II morbo infaria... 
II pan ci xnanca... 
Sul ponte sventola 
Bandiera brancal — 



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— 129 — 

No, no, hod splendere 
Su tanti guai, 
Soto d* Italia, 
Non splender mai i 
E sulla veneta 
Spenta fortuna 
Sia eterno il gemho 
Delia lagunat 

Venezia, r ultima 
Ora 6 venuta; 
Tllustre martire, 
Tu sei perduta ; 
II morbo infuria, 
II pan ti manca, 
Sol ponte sventola 
Bandiera bianca! 

Ha non le ignivome 
Palle roventi, 
Nfc i mille fulmini 
Su te stridenti, 
Troncan ai liberi 
Tuoi dllo stame: 
Viva Venezia: 
Muor della fame ! 

Sulle tue pagine 
Scolpisci, o Storia, 
Le altrui nequizie 
£ la tua gloria, 
E grida ai posteri 
Tre volte infame 
Chi vuol Venezia 
Morta di fame. 

Viva Venezia ! 
Feroce, altiera, 
Difese intrepida 
La sua bandiera; 



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-*» — 

Ma il morbo Inftiria, 
II paa le manea; 
Sul ponte stentok 
Banalen btatti! 

Ed ora infrang&st 
Qti sulla ptetra, 
Finch' & moor libera, 
Questamia cetra. 
A te, Venezia, 
L' ultimo canto, 
L' ultimo bacio, 
L J ultimo pianto! 

Ramingo ed esule 
Sut $ud straniero* 
Vivrai, Venecia, 
Net mio pensiero ; 
Vivrai nel tempio 
Qui del mio caore N 
Gome i' imagine 
Del primo. amore. 

Ma tt vei*to aibilA,. 
Ma Voftda * scura* 
Ma tutta in gemito 
£ la natura: 
Le corde stfidono, 
La voce manca; 
Sul ponte sventola 
Bandiera bianca ! 

19 Agosto 1849. 

A^NALDO FuSUfATO. 



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LA SPIGOLATRICE DI SAPRI 



Eran trecento: eran giovani a forth 
£ son morti I 

Me ne andava al mattino a.spigolare 
Quando ho visto una barca in mezzo al mare: 
Era una barca die andava a vapore , 
£ issava una bandiera tricolore. 
AU'Uola di Ponza si b fermata , 
£ stata un poco, e poi s'& ritornata; 
S'fe rilornata, e qui I venuta a terra; 
Sceser con 1'armi, e a noi non fecer guerra. 
Eran trecento: eran giorani e forti: 
£ son morti I 

Sceser con Parmi, e a noi non fecer guem» 
Ma s'inchinaron per baciar ia terra: 
Ad uno ad uno li guardai net viso ; 
Tutti aveano una lagrima ed un sorriso : 
Li disser ladri uscki dalle tane, 
Ma non portaron via nemmeno un pane; 
E li sentii mandare un solo grido: 
— Siam venuti a morir pel nbstro lido! — 
Eran trecento : eran giovani e forti :' 
E son morti ! 

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— 132 — 

Con gli occhi azzurri e coi capelli d 9 oro 
Un giovin cammioava innanzi a loro; 
Mi feci ardita, e presol per la mano, 
Gli chiesi: —Dove vai, bel capitano? 
Guardommi, e mi rispose : — mia sorella , 
Vado a morir per la mia Patria bella! — 
Io mi sentii tremare tuttp il core, 
Nfc potei dirgli: — V'aiuti il SignoreJ — 
Eran trecento: eran giovani e forti: 
E son morti ! 

Quel giorno mi scordai di spigolare, 
E dietro a loro mi misi ad andare: 
Due volte si scontrar con li gendarmi, 
E Tuna e l'-altra li spogliar dell'armi : 
Ma quando fftr della Certosa ai muri, 
S'udiron a suonar trombe e tamburi; 
E tra il fumo e gli spari e le scintille 
Piombaron loro addosso pii di mille. 
Eran trecento : eran giovani e forti : 
E son morti i 

Eran trecento, e non voller fuggire; 
Parean tremila e vollero, morire : 
Ma vollero morir col ferro in mano, 
E innanzi ad essi correa sangue il piano. 
Finchfc : pugnar vid' io, per lor pregai; 
Ma a un tratto venni men, nk piu guardai... 
Io non vedeva pid fra mezzo a loro 
Quegli occhi azzurri e quei capelli d' orol.... 
Eran trecento : eran giovani e forti : 
E son morti i 

Luigi Mercantini. 



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ALLA HEMORIA 

w 

DANIELE MANIN 



IL GONDOLIERE 

nel di dei Morti 1857. 

Han sepoito Manin lontano tanto, 

E abbiamo a San Michele il campo santo! 

Se la gondola mia fosse un vascello, 
Andar me ne vorrei sino a Marsiglia; 
Lk troverei la sposa di Daniello, 
Che dicon che rivuol la sua famiglia; 
Ed io vorrei volar come un uccello 
Per riporlarle il marito e la figlia: 
Poi, messo in su la poppa il dolce carco, 
Vorrei tornar la sera al mio San Marco. 

Han sepoito Manin lontano tanto, 

E abbiamo a San Michele il campo santo i 

Povera Emilia, che voleva si bene 

A questo suo bel mar dov'era nata: 

M'han detto che al flnir delle sue pene 

Ha chiamato Venezia ed b spirata : 

S'ella anche morta al suo bel mar riviene, 

Io certo la vedria risuscitata, 

E certo che gridar la sentiria: 

— Io ti riveggo ancor, Venezia mia. — 

Han sepoito Manin lontano tanto, 

E abbiamo a San Michele il campo santo ! 

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— 134 — 

Ma ta ub vascel, mia gondola, non sei, 
E hod ha che it suo ranid 11 gondoliero: 
Par di menarti in Francia il core avrei, 
Ma 6 serapre su Venezia il giallo e il aero ; 
E fin che il giallo e il nero fe sppra lei, 
Non yefcgpno i tre morti al cimitero; 
Quando i tre morti Ik ne and re mo a porre, 
Verranno i tre colori in sulla torre. 

Han sepolto Manin lontano tanto, 

E abbiamo a San Michele il campo santo ! 

Ecco la scala ed ecco H campo santo; 
Aspettami ch'io to mo, o mia barchetta: 
Un requie eterna a dir me ne vo intanto 
Suirossa di mia madre povefetta ; 
Qaando per essa avrt pregato e pianto, 
Ricorderd ogni altr'anima diletta: 
Ma avr& di nuovo il pianto in su la gaancia 
Per quelli tre che son sepolti \n Francia. 

Han sepolto Manin lontano tanto, 

E abbiamo a San Michele il campo santp i 

geote di Venezia, che pregate 
Per loro che con voi piii non avete, 
Io chiedo a tutti qaanti che veniate 
Qui dove inginocchiato mi vedete: 
L' ossa dei nostri qui fftr sotterrate 
Che moriron nel tempo che sapete: 
Di ferro e morbo moriron da forti 1 
Deh! venite a pregar per.questi morti* 

Han sepolto Manin lontano tanto, 

E abbiamo a San Michele il campo santo 1 

Vedete \k quel fiore di viola? 
Lk sotto & seppellita una donzella: 
Un giorno en|*ava in chiesa tutta sola 
A pregar per la sua Venezia bfclla: 

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— 415 — 

N6 detto am : — Signer*, ei cowota, '— 
Che an piombo Je ruot6 sa le otrvella 2 
Alzd la poveretty al ciel le braccia, - 
Poi cadde gift tra 'I sangue coo la faccia, 

Han sepolto Manin lontano tanto, 

E abbiamo a San Michele il campo santo I 

Oh Diol che mi si turba la memoria, 
E noa powo pid dir quel oh' ho net core: 
£ qui ogni croce una pietosa istoria, 
L'istoria del martirio e deH'amore: 
Di Mestre, e di Marjrhera & qui la gloria, 
Del Ponte alia Laguna & qui '1 valore : 
Questo & il luogo piu bel del cimiterio, 
Qua Rosaroll sta scritto, e 14 Poerio. 

Han sepolto Manin lontano tanto, 

E abbiamo a San Michele il campo santo t 

Ha intanto giace fuor del suo bel nido 
Chi a ruorir fu\ cw tpttt era dispwto : 
Io 1 teggo ancor da Canareggio at Lido, 
Per tutto il veggo e gli siam tutti accosto: 
Sento ancora nelfanima il suo grido: 

— Resisted Venezia ad ogni costo ; — 
Venezia rispondea tutta risorta: 

— Ogni vilti convien che qui sia morta. — 

Han sepolto Manin lontano tanto, 

E abbiamo a San Michele il campo santo I 

Se non.sl pud la fossa, almen la crocs; 
Vi porremo i tre nomi uniti inslemel 
Chi fa il prim'o ad alzar per uoi la voce 
lion potfe dirci le parole estreme; 
Chi ci volea salvar dall'ugna atroce 
And6 altrove a spirar l'ore supreme: 
Ma questa & crudelta troppa crudele..., 
Manin non ha sua croce in San Micbete. 

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- t36 — 

Han sepolto Manin lontano tante, 

E abbtamo a San Michele il campo santo I 

Perchfe un vascel, mia gondola, non sei? 
Perch* ha solo il suo remo il gondoliero? 
Par di menarti in Francia il core avrei, 
Ma 6 sempre sulla torre il giallo e il nero ; 
Ma alfin tu, o giallo e nero, andar ten dei, 
£ avr& Manin la fossa in cimitero : 
Quando noi qui Manin verremo a porre, 
Staranno i tre colori in sulla torre. 

Han sepolto Manin lontano tanto, 

E abbiamo a San Michele il campo santo I 

L. Mergantini 



IL BUON CAPO D'ANNO 

DEL PELLEGR1N0 ITALIANO 
1859 



E' fa dieci anni cbe mi «on partito, 
Mia terra! ch'ha' si bello il morite e il mare; 
Ogni anno sopra I'Alpe son salito 
Perchfe il buon anno almen ti volea dare; 
Ma ogni anno, appena che I'ho riveduto, 
Mi s'fe stretto nel core il mio saluto : 
Sta volta, se il mio cor non mi fa inganno, 
Ti porto, o Italia mia, '1 buon capo a' anno. 



— 137 — 

Popol di Mjcca e popol di Balilla, 
voi siete all'ombra dei colon belli; 
Ha di \k del Ticin fin oltre a Scilla, 
Guardate i bei colori che sod, quelli i 

guardate un po' di Ik per la pianura 
uanti vi chiamari da la sepoltiira ; 
Sta volta, se il mio cor non mi fa inganno, 
Io dard prima a voi '1 buon capo d'anno. 

Sono an povero yecchio pellegHno, 
E posso andare senza passaporto ; 
tu, che fai la gaardia in sal Ticino, 
Io son passato, e non ti sei accorto : . 
Forse fra poco te n'accorgerai; 
Ma atlor la guardia pit non ci farai : 
Sta volta, se il mio cor non mi fa inganno, 
Ti porto, o Lombardia, '1 buon 6apo d'anno. 

Oggi to bai la neve e il tramontano : 
Pur sei si bella e mi rallegri il core; 
Ci rivedrem pit allegri, o mia Milano, 
Quando vedremo il nwndorlo col fiore : 
Verri col fior del mandorlo la rosa, 
E tu, o Milano, allor sarai gioiosa; 
001*1 verde ft sempre vivo, ed ei lo sanno; 
E tu, o Milano, avrai '1 buon capo d'anno. 

Non istare si tacita e si bruna; 
Sveglia, o Venezia cara, il tuo liuto: 
Le tue gondole spingi alia laguna: 
Di' al tuo Leon .che non istia pit muto ; 
Di' al tuo Leon che salti in cima al ponte, 
E li faccia passar di Ik dal monte ; 
Di Ik passati pit non torneranno, 
E tu, o Venezia, avrai '1 buon capo d'anno. 

grandi che abitate in Santa Croce, 
• Certo che voi qui non istate indarno ; 
Alza almen tu, o Vittorio, la tua voce, 
Fa tremar le du4 sponde a tutto l'Arno; 

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— I» — 

Risplender* ana spada in Gavtnaaa, 
E splender te vedrit tutta Toscaaa; 
I figli tuoi, che a Curkatone stanno, 
Mandao, Firenze, a te 1 buon capo d'anno. 

Addio, care marine a me native; 
Addio, poveri amici eatro alle fosse; 
Mi fermo appena per baciar le rive, 
Le rive del mio Tebro ancora rosse: 
Mi fermo appena per baeiar ie mura 
Dove Cola e Mameli ban sepoltura; 
Le sepokure si commoveranno, 
E tu, o Roma, avrai *1 buon capo d' anno. 

Oh i hei pendii di Ghiaja e Mergellioa! 
Ob! i dolci aranci di Castellamare I 
Qui la terra &' Italia ft piit divina, 
Ma qui si fe condannati a sospirare: 
Sospiran Fonde, sospiran te zofte •• 
Perch* di sotto a loro 11 saogde bolle ; 
Ma la natura vtncerk il tiranno, 
E tu, o Napoli, avrai 'I buon capo d'anao. 

E te salnto alfin, Sicilia bella: 
Solo a vederti mi s'infiamma il core; 
Tu pria ci bai dato il suoa delta favella % 
Tu pria ci chiami ai giorni del furore; 
Qui oggi aspetto il suono della tna tromba; 
Qui a&petto fln cbe TEtoa nofi rimbomba; 
Anche di qui dov'hai 1' estrone afftinno, 
Ti mando, o Italia mia, "1 boon capo d'anno. 



L. Meacantini 



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UNA MADRE VENEZIANA 

AL GAHPO DI SAN MART1HO 

il it tuglio 18$9. 



c Or che la tenda vostra b in sul cooftno, 
Perchfc,. o flgliuoli, niun di voi mi scrive? 
Palestro alia Venezia k men vicino, 
Par mi fu detto — Attilio, Emilio five — 
Diol chi sa quante madri a San Marti no 
Fatte atrk il piombo dei lor figii prire ! 
Chi sa cb'anadi quelle io par no© sial...» 
Cosl dicea la povera Maria. 

Aspettd un giorno, aspettd an allro ancora, 
Nfe mai le venne lettera o imbasciata: 
Alfln d'un bel mattin alia prim'ora 
Si mise in via la donna sconsolata, 
E cammind pid di senza dimora 
In forma di mendica abbandonata: 
Ai <lodici di luglk) innanzi sera 
Passfr Maria del Mincio la riviera. 

c Chi sei, povera donna, e qua che Yuoi? 

— Son Veneziana, e cerco i figli miei. 

— Che nome hanno e cl^e schiera i figli tuoi? 

— Attilio, Emilio haja nome, e son nel sei. 

— Mi duole, o donna, ma nonson con noi. 

— Quanto ancor; per trovarli, andar dovrei? 

— Vedi: \k quell* altura 6 San Martino, 

Ei son \h dietro; » — e le insegn6 il cammino. 

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— 140 — 

Trem6 sentendo a nominar quel cotle, 
E — Sono vivi?— dimandar volea; 
Ma la voce di subito mancolle, 
E a stento su per 1' erta il pife movea. 
Col goipbito al facile e il ciglio molle 
La scolta a riguardarla si volgea: 
La poveretta come pifc saliva 
Piu si sentia tremare, e impallidiva. 

E quando fa arrivata a quell' altura, 
Si chin6 per guardar l'altro pendlo, 
E tutto le sembrd una sepollura; 
Le sembr& udijr gridare: — madre, addio I - 
E vista ad una fossa una.figura, 
Le braccia aperse e disse: — flglio mio I - 
Ma giunta ove suonato ayea la voce 
Vide segnato — Attilio — ad una croce. 

Si fece bianca e le si chiuser gli occbi, 
Ma Don potfe mandar grido o lamento ; 
Pieg6 davauti alia croce i ginocchi, 
E cost stavasenza movimento: 
Di San Martino i flebili rintocchi 
Salutarono il di ch'era omai spento; 
Ella a quel suono in un gran pianto usclo, 
E git cadde chiamando : — c Attilio mio. 

« Attilio mio, partendo mi dicesti: 
Ti porter6 un bel fior di Lombardial... 
E tu, mio primo fior, tu qui cadesti, 
N6 pift verrai dovMo ti partoria. 
Venezia sari tutta in gaie vesti, 
E il bruno avri la povera Maria; 
Ma io porr6 su quel bruno il tricolore, 
Vi porrd il nome tao, mio santo amore. 

<I1 nome ch'io ti posi hai ben portato, 
Ch'io per la patria ti nomava Attilio: 
Ma, dimmi, il tuo fratel dov'fe restato? 
S'gi fosse morto, saria teco Emilio: 

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— 141 — 

Oh almen denlro a Venezia entrar soldato 
Vedessi lai sul ponte o col naviliol 
Bella Venezia come non fa mai 
Sari quel di... ma tu non la vedrai... — 

— Bella nfe tu v nfe io la rivedremo, 
Che gik Venezia nostra b sentenziata : 
La Regina del mar ritorna al remo, 
E per maggior dolor sola e lasciata: 
Povera madrei in sul confino estremo 
Per riveder noi due sei qui volata. 
Morto di ferro sta qui sotto Attilio; 
Io di d&lore morird in esilio.i — 

Cosl piangendo della madre in seno 
Emilio si gittd tutto improvviso; 
Ella in vederlo fu per venir meno, 
Ma al duro annunzio colorossi in viso: 
Gli occhi d'ira mandarono un baleno, 
E in quei del figlio li teneva fiso; 
Presa la destra gli grid&: t Qui giura 
Che terrai Parme fin cheilcorti dura. 

c Giurami qui del too fralel soll'ossa 
Che te giammai non vinceri il dolore; 
Fari r Italia nuovo sangue rossa 
E sar& lieta s' anch' Emilio muore; 
Ma net veneto suol sia la tua fossa: 
Cosl due terre unito avrJ il mio cuore. 
Senza figli restiam, venete madri, 
Ma non resti Venezia in man dei ladri.t 

L. Merganhni 



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INNO DI GUERRA DI GARIBALDI 

Airmail All'armii 



Si scopron 1$ tombe, si levauo i morti ; 
I martiri nostri son turtti risorti: 
Le spade nel pugnoi gli allori aHe cbiome, 
La fiaquaa ed il nome — d' Italia sul cor* 

Veniamo! Veniamo! Su, o giovani schiere, 
Sa al vento per tatto le nostre bandiere, 
Su tutti col ferro, su tutti col fuoco, 
Su tutti col fuoco *— d'Ualia nel cor. 
Va fuora d' Italia, va fuora ch'fc I'ora, 
Va fubra d' tyalia, va fiiora, o stranier i 

La terra dei flori, del suoni e <tei carmi, 
Ritoroi, qual era, la tertfa deir ami ; 
Di cento eaten* ci av? inser la mono, 
Ma ancor di Legoano — sa i ferri braodir. 

Bastone tedesco r Italia non doma, 
Non crescon al giogo le stirpi di Roma^ 
Piti Italia don vutile stranieri e tiranni: 
Gik troppi son gli anni — - che dura il servir. 

/^•fa fuofa d* Italia, va fuora ch'fe Fora, 
Ya fuora d' Italia, va fuora, o stranier! 

Le case d* Italia son fatte per noi, 
£ Ik sul Danubio la caaa de'tuoi; 
Tu i campi ci guasti, tu il pane c'involi; 
I nostri figliuoli — per noi li vogliam. 

Son r Alpi e -i due mari d* Italia i confini; 
Col carro di fuoco rompiam gli Apennini; 

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— 443 — 

Distrntto ogni segno di vecchia frontiera, 
La ppstra bandiera — per tutto innalziam. 
va fuora d'ltalia, va fuora ch'6 l'ora, 
Ya fuora d' Italic, ta fabra, o stranierl 

Sien mute le lingue, sien pronte le braccia ; 
Soltanto al nemico volgiamo la faccia, 
E tosto oltre i monti n'andrk lo straniero 
Se tutta un pensiero — T Italia sari. 

Nod basta il trionfo di barbare spoglie; 
Si chiudan.ai ladri d' Italia le *ogtie; 
Le genti d'llalia son tutteuna sola, 
Soft tutte una sola — le cento cittt. '. 
Ya fuora d' Italia, ya fuora €h'& L'tra* 
Ya fuora d' Italia, va fuora, o stranierl 

Se ancora dell'Alpi tentasser gli spaldi, 
II grido A'all'armi dari Garibaldi: 
E s'arma alio squillo, che vien da Caprera, 
Dei. mUle k schiera — che r Etna assaitd. 

£ dtetro alia Fossa vanguardia del bravi r 
Si muovon d' Italia le tende e le navi : -f 
Gii ratto suirorma del fldo gy erriero 
L'ardente destriero — Vfffffo spron6. 

Ya fuora d' Italia, ?a fafiira ch'JU'ora, * 
Ya fuora d' Italia, va fuora, o flraaier^* 

Per sempre h caduto degli em pj /forgo glio; 
Aw — Ytva Italia! — va il Re in Catopidtoriio; 
La Senna e il Tamigi saluta ed oftora ty+ 
L'antica signora — che torna a regnar. 

Gontenta del regno fra l'-isoto'e i mtititi, 
Soltanto ai tiratini ftin&ccid le froati: 
Dovunque le geati percuoU un tiraniia 
Suoi flgli usefaantie -* per terra a per war. 
Ya fuora d' Italia, ta fajDra Mb rota, 
Ya fuora d' Italia, yarfuora^o stran^r! 

L; JlfiRCANTlNI. 



1NDICE 



Agti,amici miel in Italia pag. 5 

Raggnagli storici » » 

Le Fanusie . . n ii 

I Profoghi di Parga. — Parte I, La Ditperaiione . » 63 

— — Parte fl, 11 Raetonto » 66 

Parte III, L'Abbominattone • • . * 74 

Glarina (romania) . »» 80 

II romiio del Cenisio (romania) • * 83 
II Rimotto (romania) . • . . ... • * 88 

Matilde (romania) «• 9i 

II Troratore (romania). » 99 

Gtelia (romania) . »• 94 

00* scritta in occasione delle riyolmioni di Modena e Bo- 
logna, scoppiate nel W30 — Allarmil aU'arml! . « 97 

POBSIEM AUTORI DIVERSI 

Mario 1821 . * * 101 

li Proclama di Rimini (frammento di canzone) Aprile 18 IS » 104 

All' anno 1831 (ode) . . „ . ^. . . . h 106 

La Visione . . v . • . ~, . . » no 

raorte o liberta ! . « lit 

Ode sulta crednta morte.di Silvio Pellico nello Spielberg » fit 
CorreqjOjtl 2° anniyersario della morte del fralelli Ban- 

diera e dei loro compagni di martirio . . . »• 190 

Inno d' Italia . . • '. . . • * »• 116 
L' ultima ora di VepeiJa . , • ..,.»» 1*8 

La spigolatrice di Sapri ,. » 431 

Alia memoria di Daniele Hantn » 188 

II boon capo d' anno del Peltegrino itallano 1889 . » isa 

Una padre veneiiana ai eampo di Sat Martino . • « l|f 

Inno di GariNldi - All' ami 1 ail' ami I ♦ . , » M 



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